NOƩTOI, RITORNI

Bar Abbas

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Dio della penna

    Group
    Il vagabondo
    Posts
    14,769
    Me gusta
    +887
    Location
    mamma

    Status
    Offline
    La donna di mezza età, esile, elegante, tamburellò con l'indice sul microfono per reclamare il silenzio.
    Le voci in sala si sopirono e poi si spensero del tutto.
    Col sorriso più largo che il suo minuscolo e proporzionato viso potesse offrire annunciò: «Today is the day» alla marea di scienziati, di giornalisti, di semplici curiosi assiepati in platea.
    «Oggi ventuno maggio 2015, a Ginevra, il Large Hadron Collider ha raggiunto per la prima volta l'energia di tredici tera electronvolt» continuò, nel suo inglese dall'accento bretone.
    «E un rivoluzionario esperimento alle alte energie ci ha permesso una scoperta straordinaria.»

    La strada saliva, prima di giungere alla villetta sulla Universitätstraße di Marburg, verso una scena che pareva un fondale dipinto e senza prospettiva contro il sole morente di novembre.
    Dalla finestra accanto alla porta lo spiai mentre sorseggiava del whisky seduto alla scrivania, immerso nell’alcool quanto in una una soluzione solitonica di un'equazione di campo supposi, alla ricerca di una soluzione a quel problema che consumava inutilmente ogni sua energia da mesi.
    «Dovrebbe esserci un esperimento mio lì» decifrai dalle sue labbra.
    E il mio pensiero scivolò sull’LHC di Ginevra, l’anello sotterraneo dal diametro di ventisette chilometri, finito di costruire nel 2008.
    Bussai.
    «Chi diavolo sarà a quest’ora?» si lamentò, mentre apriva.
    «Signor Velez» disse in italiano. «Io… Non l’aspettavo» balbettò.
    «Ich bin gekommen um sie an ihre Pflichten der Treue zu erinnern» Sono venuto a ricordarle i suoi doveri di fedeltà, gli dissi.
    Ego Wenger chinò il capo in avanti e con le labbra sfiorò l’anello con su montato il minerale opalescente perfettamente sferico che portavo all’anulare sinistro.
    Entrai, e presi una sedia.
    «Voglio che lei sappia, signor Velez, che le sarò sempre grato per il denaro con cui ha finanziato i miei studi, per la cattedra in questa prestigiosa università, per la casa, voglio dire… per tutto» si sentì in dovere di ringraziarmi. «Ich schulde ihr alles» io le devo tutto, balbettò.
    Lasciai che una leggera smorfia mi increspasse le labbra insieme a una scrollata del capo che significava: Verrà il momento per rendere il debito.
    «Si segga, Herr Wenger, voglio raccontarle una storia che riguarda la mia famiglia.»
    Imbarazzato si accomodò al mio fianco.
    «Lei sa qualcosa della campagna di Russia, Herr Wenger?»
    Incredulo fissò i miei occhi scuri.
    «Quel che tutti sanno, credo: l’invasione si arenò in Ucraina e Hitler venne ucciso a Kiev nel 1941, se ben ricordo in un attentato; e con lui morirono Mussolini e Himmler. Göring si ritrovò solo al potere...»
    «Già, per quanto fosse stato uno dei primi a credere in Hitler, quel morfinomane si era persuaso che quella guerra non potesse esser vinta e giunse a un armistizio con le potenze alleate: la Repubblica venne restaurata.»
    Ego Wenger chinò il capo, incerto se replicare.
    «Mio nonno prestava servizio nell’esercito italiano, anzi si trovava a Kiev il giorno dell’attentato» continuai.
    Gli porsi una vecchia fotografia, di un uomo in divisa di SS.
    «Lo conosce?»
    «Dovrei?» Rispose, infastidito.
    «Non faccia del sarcasmo con me, Herr Wenger.»
    «Mi scusi, signor Velez, non era mia intenzione, ma non mi pare di...»
    Lasciò la frase sospesa e andò a prendere il portatile.
    «Questo è Felix Bloch, svizzero, fu il primo direttore del CERN di Ginevra, dal 1954 al ‘56; e somiglia maledettamente all’uomo della sua foto. Ma come può essere lui? Bloch aveva vinto il Nobel, e il suo uomo pare un generale.»
    «Era l’equivalente di un colonnello» precisai. «Ma era ugualmente un uomo influente; la storia che voglio raccontarle riguarda lui e il vero obiettivo dell’attentato del 1941, che non era il Führer, ma l’attentatore.»
    «L’attentatore? Mi pare di ricordare che fosse un nobile bavarese, un ufficiale della Wehrmacht: Michael von Poshinger.»
    Non riuscii a trattenere un sorriso. «L’attentatore si chiamava come me: Ludovico Velez.»
    «Mi perdoni, signor Velez… ma non la seguo.»
    «Non è necessario che adesso lei capisca, ma che rammenti. Come tutti lei pensa il tempo in modo lineare, Herr Wenger, in una successione immodificabile: passato presente futuro sono un concetto, frutto di migliaia di anni di metafisica teologia fisica, che accompagna ogni pensare il mondo. Se io le dicessi che ciò che è esiste all’interno di un orizzonte estatico non le direi nulla. Non mi aspetto che lei comprenda, ma solo che mi ascolti.»
    Sentii il ticchettio dell’orologio da tasca, e fui di nuovo dentro il tempo.
    «Ecco il mausoleo di ogni speranza, lo prenda.»
    «Le sono molto grato, ma...»
    «La guerra tra Einai e Ananke è eterna, Herr Wenger; non glielo do perché possa ricordarsi del tempo, ma perché possa dimenticarlo e non sprecare tutte le sue forze nel tentativo di vincerlo. Mi metterò io in contatto con lei, quando arriverà il momento.»


    Aprì il piccolo tomo dalla spessa copertina di marocchino: la carta sembrava antichissima, ma i caratteri di stampa erano moderni.
    Il tempo ci trascina in un’unica direzione, pensò Ego Wenger, non si torna indietro.
    E fu invaso da un misto di sconforto e di rabbia.
    «Sento la necessità d’abbandonarmi a ciò che è» lesse ad alta voce. «Da tempo gli esseri umani hanno dimenticato di non essere altro che un ente che riflette sul proprio esser-Ci; portare alla luce la latente potenza di questa dimenticanza, attraverso un ricordo di essa in quanto dimenticanza, è in ciò la risonanza di ciò che è.»
    Cosa volevi dirmi?
    Ed esasperato sollevò lo sguardo al soffitto.
    «È così assurdo chiedersi perché quando si pronuncia la parola necessità si pensi a qualcosa di negativo, come se fosse una sventura? E, al contrario, l’assenza di necessità è vista come un bene, specie dove si attribuisce importanza alla fortuna e al benessere? Che invece si mantengono solo grazie all’ininterrotto rifornimento di quanto è godibile e utilizzabile, grazie a ciò che si incrementa solo tramite il progresso; che di conseguenza si fa necessità, il nostro unico destino: Ananke, che ci costringe a procedere per quell’unica via dimenticando Einai.
    Viviamo in un’epoca in cui l’incanto non ce lo regala più ciò che è, ma il solo progresso e la tecnica: che si superano di continuo puntando tutto sul calcolo, sulla funzionalità, sulla manegevolezza, sull’utilizzazione. Nel progresso è insita l’idea di miglioramento, e attraverso il miglioramento la tecnica si assicura il dominio più incontrastato e inappariscente che sia mai esistito sulla faccia della Terra; si innalza il livello medio, ma allo stesso tempo, inquietantemente, scompare lo spazio per le domande e per la decisione, segno dell’abbandono di ciò che è. La tecnica è il mezzo che si fa fine, l’assenza di necessità che si fa necessità, e lascia svanire tutte le mete, che trasformano l’uomo e gli conferiscono un senso; senza un senso la vita si trasforma in angoscia e, preclusa qualsiasi decisione, sboccia e si propaga il nichilismo, il trionfo più grande di Ananke.
    La tecnica moderna non ci è stata donata da Prometeo, ma da suo fratello Epimeteo.
    E questa umana assenza di mete trasforma in schizofrenia il nostro affannarci sulla superficie di questa palla di fango che chiamiamo Terra, il cui unico scopo si riduce al ruotare intorno a un grande nulla infuocato che si muove non si sa perché insieme a miliardi di incandescenti altri nulla, in un distillato di pura angoscia esistenziale.
    Credo che succeda per via di questo stato di cose, di questa indeterminatezza, di questa impossibilità di scegliere, di prendere una decisione per imboccare una strada che abbia un senso, che la scrittura moderna si mostri tanto ambigua, priva di direzione, di respiro, anche sintattico e lessicale, di orizzonti, e non sappia far altro che concentrarsi sull'individuo, uno qualunque non importa: che sia un povero fruttivendolo o un oscuro agente di commercio, un arrapato avvocato o un poliziotto fascista, una mignotta o un anatomopatologo allergico alla formalina, un ricco finanziere o un ottuso specialista nell'asportazione di gliomi e astrocitomi.
    E l’in-dividuo, ciò che non può esser diviso, viene invece fatto a pezzi, smembrato e analizzato, e i suoi organi, persino i suoi pensieri, trattati come un qualcosa di non umano.
    Anche lo scrittore scrive scambiando i mezzi per i fini: non per comunicare, mostrare o criticare, ma per il denaro, per sostenere una traballante autostima, per l'avidità di elogi: alle volte per un compulsivo istinto, che lo costringe ad apparire attraverso la scrittura invece che attraverso un'arrampicata sulla parete nord del Cervino...»

    E nauseato l’abbandonò sulla scrivania.
    Che magnifico sentimento il disprezzo, pensò.
    E la considerazione gli illuminò il viso. Sottile, spigoloso, tutto naso, e con piccoli occhi scuri accesi e profondi come le tenebre.
    Ego Wenger di professione faceva il fisico, con una specializzazione in particelle elementari. Cose tipo neutroni e protoni, ma anche quark e bosoni, misteriose presenze a cui la stampa internazionale tributava onori occasionali ogni qual volta capitavano fantasmagoriche, eccezionali, sensazionali, incomprensibili, nuove scoperte.
    Ed era ateo. Pensava che dio, o Dio, fosse solo un'emanazione della mente umana e la religione nient’altro che un comodo strumento per offrire struttura a ciò che ne era privo, ma ciò solo nel migliore dei mondi possibili. Anzi, disprezzava chi credeva in Dio, anche se era un dio qualunque, a conti fatti un dio buono e inoffensivo che aveva a cuore soltanto il bene del genere umano e dell’universo intero; lo riteneva insensato, e da anni lavorava alla teoria delle stringhe come teoria del Tutto, per poter dimostrare che un dio, Dio, non esisteva.
    Infiniti universi in infinito tempo, questo cercava.
    Che motivo d'un dio può mai esistere là dentro?
    Per Ego Wenger nessun essere soprannaturale si nascondeva nelle sue equazioni: nessun ente divino governava gli infiniti universi in infinito tempo: nessuna chiave della creazione, a meno di un mistero buffo.
    Quella sera gli venne in testa così, forse a causa di Ludovico Velez, o per merito di quel whisky invecchiato dodici anni in qualche barrique bordolese da duecento litri più la parte degli angeli. E se ne andò a dormire beato, dimenticò tutto: l’università di Marburg, il Sogno d’amore di Liszt, le sue riflessioni su Dio e sulla metafisica di Nietsche, sull’idealismo di Hegel, l’esistenzialismo di Heidegger, la fenomenologia di Husserl. E su quel libro tanto imbrogliato regalatogli dal suo misterioso anfitrione, che forse era un capolavoro tanto da meritare il Nobel per la letteratura, o forse la fisica. Un testo profondo, un po' com’era l'ateo Ivan Karamazov, e anche genuino, come il suo santo e devoto fratello Aleša, preciso e razionale, quanto il saggio di Hoffstaeder che accomunava le opere di Gődel, Escher e Bach, denso di spirito critico, come i testi del Montano che passavano in rassegna le diatribe tra Sartre e Camus e Merlau-Ponty dissertando sulla validità o meno dell'uomo in rivolta e sul liberismo e il marxismo o la rilevanza dell’Essere, dall’approccio inusuale, come le Dialettiche dell’Illuminismo e Negative, poetico, come le liriche di Antoine Madrid su Parigi, realista, come il Contesto di Sciascia, originale, come quella rivista letteraria dal nome altisonante: Il guardiano del faro.
    Ma quale faro? Si svegliò di colpo con quel tarlo in testa e non gli rimase altro, per passare la nottata, se non di sorseggiare una tazza di camomilla aromatizzata con del Cointreau.

    Qualche giorno dopo (o forse prima) a un congresso di fisici teorici e sperimentali e delle particelle, a cui s'era aggiunto un nutrito manipolo di cosmologi e di matematici sperimentali (che il cielo li abbia sempre in gloria per quanto sono astratti e fluttuanti, come particelle di Planck), lo arrapò un desiderio nitido e nettissimo di rum. Non di uno qualunque, ma di quello secco e scuro che distillano a Port au Prince e che sa di tabacco più che di canna da zucchero. Le Diable si chiamava quella bottiglia dall'etichetta nera con su stampato un cornuto rosso con la coda a punta e, nel bar dell'hotel dove si teneva la conferenza, gliene servirono quattro bicchieri di fila, da buttare giù uno appresso all'altro.
    Quando tornò nella sala, con un sorriso ebete ben visibile, si decise a seguire il relatore numero quattro. Diversamente dai congressi medici, foraggiati da miliardarie case farmaceutiche prodighe nell'elargire gadgets inutili o utilissimi regali insieme a pranzi meravigliosi in luoghi esotici o in città d'arte con hostess prorompenti pronte ad assecondare ogni più piccolo desiderio, i congressi dei fisici consistevano in tristi adunanze per stempiati iniziati quasi sempre autofinanziate dal club degli iniziati. Si pagava quel che si consumava insomma. Hotel squallidi in apatiche città di provincia nella speranza di risparmiare qualche centesimo. Di euro, di dollari o di yen faceva poco differenza.
    Qualcuno s'è mai chiesto perché il denaro è tanto scarso? Si distrasse ancora Ego Wenger.
    Che aveva letto Smith e Ricardo, Malthus e il Kuznets dell'ingannevole curva della crescita, Il Capitale di Marx, con la profezia della caduta tendenziale del saggio di profitto, e quello posteriore di quel professore della Sorbona di cui non ricordava mai il nome, solo per provare a entrare dentro la mente dell'imperatore. E sperava di non aver capito. Perché gli pareva assurdo che si trattasse solo di un fattore legato all'avidità umana. Che il sistema economico che governava il mondo degli uomini fosse del tutto identico a quello degli scimpanzé: io mangio tu no. Orgogliosamente mosso e motivato da un paio di irrazionali sentimenti, di quelli che hanno origine nel cerebro primitivo, neanche dei più pregiati: l'avidità e l'invidia. Roba da sette peccati capitali, da sette piaghe d'Egitto e altre atrocità essenziali del Vecchio Testamento, della Torah nonché del Corano e di quel magnifico poema indiano dal nome impronunciabile. Però, a quanto gli sembrava d'aver sentito dai numerosi esegeti, il detto sistema funzionava assai bene ed esistevano un mucchio delle sue care equazioni, adoperate con perizia e diligenza dal fior fior di questi sacerdoti in giacca e cravatta, a giustificare e garantire il funzionamento di un motore tanto meraviglioso e il propagarsi dell'ordine precostituito: io ricco, voi poveri.
    Nel sistema delle sfere perfette di Tolomeo niente era più puro e meritevole di attenzione e venerazione di un cerchio, di una sfera: il simbolo della perfezione dell’Essere, di Einai, ora ricordava, lo aveva visto all’anulare di Ludovico Velez.
    Ma chi era quell’uomo?
    «Se ho tempo le verifico queste equazioni» decise al quinto rum, un Tio Pepe filippino questa volta, mentre un altro barman barbuto lo inquadrava di traverso, forse perché non aveva usato il sottobicchiere e macchiato il finto marmo del banco con una sfera perfetta. O forse perché gli stava antipatico e basta.
    I fisici sono quasi tutti uomini, come i matematici. Nessuna bella dottoressa in medicina e chirurgia a leggere relazioni: nessuna figlia di Venere a illustrare alla platea le ultime tecniche di laparoscopia ginecologica, pensò.
    Si rannicchiò sulla sedia di plastica rossa col banchettino snodabile e si sforzò di ascoltare delle vicissitudini di un esperimento eseguito con l'LHC di Ginevra, che per amor di serendipità aveva aperto le porte a un'altra incredibile scoperta e svelato un'altra effimera, ipotetica, verità scientifica, pronta a essere confutata al successivo esperimento.
    Odio le donne, gli venne da pensare, soprattutto quando sono a capo del CERN di Ginevra. Odio le donne, perché non riesco a farmi finanziare un esperimento decente da portare al cospetto di sua Maestà l'LHC, nonostante gli appoggi di Ludovico Velez. Odio le donne, perché mi trovano noioso e antipatico e non mi guardano neanche in faccia. Odio le donne, perché non riesco a scoparmene una senza dover pagare.
    E si rassegnò a far ricorso all'ultima risorsa possibile: una fiaschetta di gin gallese che teneva di riserva nella tasca interna della giacca.
    «Ego Wenger?» si fece avanti un tizio dall'accento farsi o forse pashtu, dall’aspetto afghano o forse persiano.
    Fece segno di sì, e con disprezzo gli scrutò gli occhi scuri.
    Ripeté dentro di sé di non nutrire esigenza alcuna di vedere una faccia barbuta e musulmana, adoratrice di un libro nevrotico, a meno di un metro dalla sua e poi si perse ancora in fantasie con congressi pieni di medici donne che lo applaudivano con l'intento di portarselo a letto.
    Il tizio parlò, lo sentì ma non lo ascoltò, abbassò la testa e mormorò qualche davvero nella stessa lingua con cui il tizio gli parlava. Poi lo sconosciuto affondò la mano in una tasca e ci frugò dentro.
    Dio santo, pensò. È un terrorista, e ora mi sgozza.
    Ma al posto del coltello gli sembrò di vedere una pen drive.
    Perché diavolo me la sventola davanti al naso? Come fosse una scimitarra affilata, pensò irritato.
    E si sentì come il Salman Rushdie dei Versetti Satanici: pronto a sacrificarsi per la libertà d'espressione.
    Lo sconosciuto gliela offrì.
    Afferrò l’oggetto e con un sorriso gli garantì la sua futura attenzione.
    Si meravigliò d'esser lasciato in pace tanto facilmente senza neanche la fatica di dover mentire un indirizzo email, e tranquillizzato si alzò per un altro salto al bar.
    Aveva voglia di qualcosa di dolce adesso, e al barista antipatico ordinò uno Slivovitz, che non aveva, e poi si accanì chiedendo una Rakija che gli mancava pure. Adocchiò una bottiglia di Boroviçka mezza piena e non fu contento finché non l'ebbe svuotata, poi tirò fuori quel libro dalla borsa.
    Odio quando l'autore si rivolge al lettore e magari gli strizza l'occhio, pensò. Ma questo è un racconto poi? O una storia vera? Si dice così per dare credibilità alle più incredibili stronzate, gli venne da ridere.
    E per poco non eruttò le bacche di ginepro e il rum ben schakerati insieme nel calduccio dello stomaco.
    Oppure è un saggio?
    «Mi è successo prima che diagnosticassero un astrocitoma diffuso nell'emisfero destro. Mi guardo allo specchio e somiglio a Nicanor Parra con la barba, la prima poesia latinoamericana che ho letto è Viaje a Nueva York di Ernesto Cardenal. Ma in lingua spagnola preferisco Tigre y Paloma di Garcia Lorca, soprattutto se dopo leggo Fontamara di Ignazio Silone. Georg Simmel scriveva che chi possiede un segreto, un segreto qualsiasi, possiede un'arma. Un'arma formidabile.»
    Mica scemo quel Simmel, pensò.

    Quando inserì la chiavetta nel computer apparirono delle equazioni in un campo pluridimensionale.
    Chissà che mi aspettavo, fu il suo unico pensiero.
    Rimase immerso per ore, giorni, settimane, mesi in quell'universo simbolico e probabilistico. Non era un'ipotesi. Non era uno studio.
    Era matematica che non poteva esistere sulla Terra, in questo universo, o almeno in questo tempo.
    Un passero tagliò il sole di sbieco, si posò sul davanzale e alzò la testa verso di lui.
    «Tu sei il diavolo, oppure Dio» ruggì.
    Corse alla ricerca della sua riserva segreta: un cognac invecchiato venti anni, d'un deciso colore ambrato, dall'aroma legnoso di ciliegio, dal sapore delicato, persistente, duraturo, dal magnifico aroma di vaniglia e rovere, di ribes e pesca, ‒ anche se è perfettamente inutile spiegare cos'è il cognac a degli astemi che ignorano la meccanica quantistica.
    È lui il mio bianconiglio? Quel barbuto dall'aspetto mediorientale e dall'accento di Tabriz o di Shiraz?
    E sistemò sul piatto il primo coro della Passione secondo Matteo che invase la stanza con la sua perfetta architettura armonica e quell'impareggiabile consistenza melodica.
    «Neanche Bach è riuscito a farmi credere in Dio» mormorò. «Ma nelle equazioni di quell'angelo barbuto l’ho trovato, quella processione armoniosa di simboli dimostra che Dio esiste e ha creato il Tutto.»
    Da lontano vide Scriabin comporre il finale della sua seconda sinfonia e Jacob Gershowitz con Antonìn Dvořàk sulla Quinta Strada, incontrò Rachmaninov a San Pietroburgo e ascoltò Einaudi suonare Oltremare.
    Dio ha creato la Terra per far nascere Bach, è lapalissiano in fondo. Ludovico Velez aveva ragione.
    «Noi esistiamo in un orizzonte estatico.»
    Ma ogni edificio teorico ha bisogno di esser provato.
    Dopo aver tirato il tappo a uno Chateau Lafitte del '92 iniziò a scrivere la relazione per un esperimento all'LHC di Ginevra, nella speranza che quella maledetta donna gli dicesse di sì.
    Mentre lo faceva gli sembrò di essere uno di quei magnifici bari che si possono ammirare a Forth Worth, e quella donna assunse la consistenza della Madonna del Magnificat di Botticelli.
    Anzi, tutte le figure femminili adesso gli apparivano tonde e materne, dai toni forti ma non aggressivi, come quelle del Bronzino, e gli uomini avevano gli sguardi alti e severi immaginati da un Velazquez o da un Rubens.
    Esiste un fil rouge nella pittura europea, da Buffalmacco Buffalmacchi a Picasso? E perché non poteva far a meno di pensare al Trionfo della Morte?
    Non ricordava più quanta Moskovskaja avesse buttato giù nel tentativo di dimenticare quel volto angelico tanto simile alla Virgo Legens di Antonello da Messina.
    E quel libro non era più riuscito a finirlo, dopo che il protagonista si era ammalato di gliomatosis cerebri.
    Accese la televisione.

    La donna di mezza età, esile, elegante, tamburellò con l'indice sul microfono per reclamare il silenzio.
    Le voci in sala si sopirono e poi si spensero del tutto.
    Col sorriso più largo che il suo minuscolo e proporzionato viso potesse offrire annunciò: «Heut ist der Tag» alla marea di scienziati, di giornalisti, di semplici curiosi assiepati in platea.
    «Oggi ventuno maggio 2015, a Ginevra, il Zukunft Hadron Kollider ha raggiunto per la prima volta l'energia di quindicimila tera electronvolt» continuò, nel suo tedesco dall'accento bretone.
    «E un rivoluzionario esperimento alle alte energie ci ha permesso una scoperta sconvolgente.»


    Dalla finestra accanto alla porta lo spiai mentre sorseggiava dello Stroh dal colore verdastro.
    «Gli uomini non sono ancora pronti per leggere la firma di Dio.»
    E decisi di cambiare strada.
     
    .
  2.     Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Penna stilografica

    Group
    Member
    Posts
    819
    Me gusta
    +111

    Status
    Offline
    Chi sei Bar Abbas? Svelati! Qualcuno esca da quel corpo! Prima ancora che qualcuno voti, per me hai un dieci. Non perchè io abbia capito tutto quello che hai scritto ma proprio per quello. E' esattamente come quando guardo un quadro che mi piace. Non è che lo capisca ma ho la sensazione di essere di fronte a un capolavoro che mi procura una grande emozione. Così è stato con il tuo racconto. E' stato il primo che ho letto ma son sicuro che nessuno degli altri possa raggiungere questo tuo livello. E adesso un rimprovero: quel "con su montato il minerale opalescente" non si può proprio leggere. Se lo cambi in: montato con il minerale opalescente, ti perdonerò anche un paio di minuscoli refusi che ci sono altrove. Chapeau!
     
    .
  3.     Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Scrivano

    Group
    Gli irriducibili
    Posts
    2,653
    Me gusta
    +429

    Status
    Offline
    Ciao Bar ti confesso di aver impiegato molto tempo a leggere e rileggere questo tuo racconto. Non certo per causa dello scrittore, ma per manifesta inferiorità del lettore. Ogni parola è scelta oculatamente ed è funzionale a veicolare i concetti, dunque sono dovuta ricorrere spesso a colmare le mie lacune per portare a casa la lettura. Essendo io profondamente curiosa e assetata di conoscenza, ti ringrazio per avermi offerto così tanti stimoli. Non ho studi classici alle spalle e tutto quello che so di filosofia è dovuto a mio interesse e alle ripetizioni delle lezioni di mia figlia. Essendo super appassionata di scienza e occupandomi di divulgazione astronomica, sono stata immediatamente catturata dal tuo incipit.
    Ho visitato il Cern qualche anno fa e per me è stato come fare un viaggio alla Mecca. Questo per dirti che il contenuto della tua storia mi ha letteralmente stregata. Ottima, ottima scelta.
    Ancora non si percepisce (o almeno io non sono riuscita a comprenderlo) l’aggancio con la parte “past” della storia, ma sono certa che con il prossimo step molto sarà chiarito.
    Hai creato un personaggio splendidamente caratterizzato. Ho immaginato il livore di quel vecchio “fisico” misogino e malato di cancro al cervello, imbottito di alcool, ma indomito ricercatore di quello che è il santo a Graal della fisica: la teoria del tutto. Una teoria che forse gli viene offerta da uno strano personaggio orientale che introduci (si tratta di Lui?) Ma l’uomo ancora non è pronto e si accontenterà dell’ennesima scoperta di un fenomeno occorsa in modo del tutto casuale e una nuova teoria destinata ad essere successivamente e inesorabilmente falsificata.
    Dentro al testo hai inserito quello che probabilmente è il tuo pensiero riguardo alla scrittura quando dici:
    “ Anche lo scrittore scrive scambiando i mezzi per i fini: non per comunicare, mostrare o criticare, ma per il denaro, per sostenere una traballante autostima, per l'avidità di elogi: alle volte per un compulsivo istinto, che lo costringe ad apparire attraverso la scrittura invece che attraverso un'arrampicata sulla parete nord del Cervino”.
    Certo che la tua scrittura non è di quel tipo. La tua grande e solida cultura ti permette di utilizzare le tue conoscenze al servizio dei tuoi pensieri. “Non mi aspetto che lei comprenda, ma solo che mi ascolti.”
    Io ti ho ascoltato con piacere anche se forse non ho compreso tutto.
    Attendo con vera impazienza il seguito e ti faccio ancora i miei complimenti. Un grande lavoro alla “Umberto Eco”.
     
    .
  4.     Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Penna d'oca

    Group
    Member
    Posts
    343
    Me gusta
    +63

    Status
    Offline
    Sei troppo buono, Tony. Sono troppo vecchio per crederti (e per crederci), ma ti ringrazio di cuore lo stesso. Non posso fare modifiche, ma per quel "con su montato" hai ragione. Mi sono complicato la vita inutilmente.
    Un caro saluto.
     
    .
  5.     Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Penna d'oca

    Group
    Member
    Posts
    343
    Me gusta
    +63

    Status
    Offline
    Ciao, Petunia. Grazie per il passaggio. Quanto all'aggancio con il racconto precedente, forse col tuo Wells troverai un legame col mio LHC (o il FHC/ZHK o quello che verrà dopo ancora), chissà. E quanto al Lui, l'uomo della pen drive, chi è costui? Un uomo del presente, del passato o del futuro? Se due particelle risultano legate, a prescindere dalla loro distanza nel tempo e nello spazio, forse il tempo e lo spazio esistono in un modo diverso da come li immaginiamo? Forse, e io lascio il dubbio per il prossimo racconto.
    Petunia, quando ero un ragazzetto invece di andare alle feste passavo le notti col mio telescopio a rimirar le stelle, o i pianeti, a scattare improbabili foto con rullini che costavano un occhio della testa. Ero, come si dice, un astrofilo, e un appassionato di fisica, di cosmologia e cosine del genere. Arrivato a un certo punto però mi resi conto che alcune mie domande erano destinate a rimanere senza risposta. Non ebbi una crisi mistica, se pensi questo, ma una crisi di metodo; capii grazie all'indagine sul metodo scientifico, di cui non si occupa la scienza ma la filosofia con Popper, Gadamer, Feyerabend e compagnia cantante, che la scienza soffriva di una specie di peccato originale. Di lì mi si aprì un mondo e mi resi conto che forse la filosofia continuava a porsi le domande giuste nel modo più efficace.
    Quanto al racconto in sé, ho provato a uscire dai canoni del racconto di genere, e di fare il verso anche a un altro genere, cercando una via meno scontata e facile e un modo narrativo meno empatico e coinvolgente rispetto al testo precedente. Ma ho dovuto fare almeno un compromesso per mantenere il legame con il passato e con quello che io come autore volevo che si leggesse. Senza contare l'architettura formale che ho tentato di far diventare circolare nel finale seguendo una mia vecchia idea. E per tutto questo ritengo che, se pure qualcuno mi apprezzerà, in molti di sicuro non mi sopporteranno. Pazienza.
     
    .
  6.     +1   Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Scrivano

    Group
    Gli irriducibili
    Posts
    2,653
    Me gusta
    +429

    Status
    Offline
    Grazie Bar per la tua risposta che, al solito, mi stimola ulteriori riflessioni che condividerò con te in mp. 🌸 credo che alla fine le nostre “storie” avranno qualcosa in comune😜
     
    .
  7.     Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Penna suprema

    Group
    Gli irriducibili
    Posts
    6,941
    Me gusta
    +659

    Status
    Offline
    Metà racconto, metà saggio, in questo pezzo di bravura introduci tutto quello che conosci.
    Non ti preoccupi di essere sintetico, hai a diposizione un mare di parole per stupire il lettore.
    E questo mare diventa il limite della tua opera. Il troppo stroppia, il troppo mette in difficoltà il lettore.
    Sembra quasi che tu ti sia dimenticato di lui, di lui che non ha la tua stessa cultura e non riesce a starti dietro.
    David Foster Wallace, che conosco alla perfezione, era così. Amava tantissimo i suoi lettori, ma amava pure tantissimo
    ubriacarli, distrarli, introdurre argomenti semisconosciuti, inventare nomi e situazioni assurde, pazzesche, scandalose.
    Lui era depresso e parlava spesso di suicidio. Alla fine per convincerci che stava male davvero si uccise, appena quarantenne.
    Lui che era un professore universitario apprezzatissimo dai suoi alunni, lui che era uno scrittore apprezzatissimo dai suoi lettori.
    Tu, autore, fai la stessa cosa nella tua opera.
    Pure il titolo è strano.
    invece di avvicinarti, fuggi, ti allontani, così tutti, dopo, possono chiederti spiegazioni.
    Ogni tanto rinsavisci e introduci delle descrizioni meravigliose e semplici.
    E io, per quei tratti di semplicità che spero tanto tu riesca a amplificare, continuerò a rileggere
    quelle scelte descrittive, quel rapporto ambiguo con le donne dei tuoi personaggi.
    Costretti a pagarle o a ammirarle.


    La donna di mezza età, esile, elegante, tamburellò con l'indice sul microfono per reclamare il silenzio.
    Le voci in sala si sopirono e poi si spensero del tutto.
     
    .
  8.     +1   Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Penna d'oca

    Group
    Member
    Posts
    343
    Me gusta
    +63

    Status
    Offline
    Proprio bella quell'ultima immagine. Ti voglio bene, Tom. Sei sempre così pacato, buono, nel giudicare le opere altrui, quasi dimesso, spesso apparentemente ingenuo, sempre ti fai spazio in punta di piedi, eppure non le mandi a dire, quel che scrivi mi punge e arriva dritto alla meta. Hai ragione su tutto, sai? O quasi. La tua leggerezza nasconde lo spessore di una persona che profondamente sente, capisce, intende, e non lo dà a vedere.
    È vero, fuggo, mi allontano, come dici tu, poi forse rinsavisco (ne sei così sicuro?): la vita dispensa botte terribili e paesaggi meravigliosi, noiose lezioni e magnifiche scoperte, sono un tutt'uno. La dicotomia corpo e anima è uno splendido e orrido imbroglio.
    Conosco Wallace solo di nome, sono pervaso da un sentimento di intima diffidenza nei confronti della letteratura anglosassone fatta di troppi best-sellers e molti imbrogli e poche sublimi perle spesso nascoste tra la spazzatura, ma i quaranta li ho superati da un pezzo e non penso al suicidio: come non credo di amare chi mi legge; non perché non meritino amore, ma perché amare qualcuno che non si conosce lo ritengo velleitario e comunque fuori luogo. E l'amore per le idee o i concetti è un'altra cosa. Ecco perché mi sono vergognato come un ladro quando ho scritto che ti voglio bene.
    Un caro saluto, Tom.
     
    .
  9.     Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Penna furiosa

    Group
    Member
    Posts
    1,383
    Me gusta
    +227
    Location
    Branzack

    Status
    Anonymous
    Se penso a ciò che hai scritto nello step precedente, fatico a collegare i due momenti. Come è stato per me e, credo, per altri autori, questo step intermedio lascia i lettori di fronte a parecchie domande senza risposta. Ma se un racconto deve giocoforza svilupparsi in tre fasi, ciascun autore decide in autonomia come accelerare o rallentare la storia. Ecco che mi ritrovo, leggendo il tuo testo, in un labirinto di Knosso, sepolto dalle sabbie mobili della fisica, travolto dalle correnti del fiume Sambatyon. Questo per dirti, caro autore, che questo tuo testo intermedio è troppo per me. È chiaro, palese e cristallino che il limite è mio, per cui con gli occhi sbarrati, tremendamente sorpreso, scorro la tua lista di personaggi, di citazioni e dissertazioni sulla fisica, che odio quanto lo zucchero nel caffè.
    Non mi fraintendere, la mia è pura ammirazione, ma in quanto tale non mi consente di giudicare positivamente un grande racconto che va oltre il massimo della mia ignoranza. E te lo dico perché è questo ciò che penso.
    Immaginami, a fine lettura, dopo essere tornato più volte indietro per tentare di comprendere, con le braccia larghe e un'espressione ebete, dubbiosa, oltremodo interrogativa.
    Ma per fortuna c'è il futuro, una ghiotta e ulteriore occasione, per te, di dimostrare di essere superiore tornando al semplice, ma incisivo, livello del passato.

    🎩
     
    .
  10.     Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Penna d'oca

    Group
    Member
    Posts
    390
    Me gusta
    +21
    Location
    Biella

    Status
    Offline
    Ciao Bar.

    Ho letto quattro volte il tuo racconto, solo all'ultima tornata l'ho apprezzato come si conviene. Mi sono perso letteralmente in quel muro che hai esposto, tra diciture che non conoscevo di argomenti ai quali mi sono interessato anche io.
    Il filo che lega i due macropensieri che hai gettato a darsi battaglia nel tuo racconto, sono da sempre parte stessa della vita.
    Ora, sperand di aver compreso appieno il tuo lavoro, io mi reputo nell'esatta metà tra scienza pura e filosofia.

    Tornando al racconto, rimane in testa come quelle domande che si da piccolino ho sempre avuto puntando il naso al cielo. Gli studi ( solitari ) che ho fatto, mi hanno portato a non avere propensione verso nulla di specifico. E nel tuo racconto, ho trovato all'incirca l'ideologia che ho accolto come mia negli anni.

    A livello tecnico, non ho nulla da segnalarti. Tutto è dosato alla perfezione anche nelle parti nelle quali sembra più un trattato. O un saggio. Non mi arrogo di aver compreso tutto, assolutamente. Ma ti ho capito e seguito con tranquillità in quello che mi hai portato a leggere. Adoro quando mi si mette davanti qualcosa di “impossibile” per la mia conoscienza, per la mia semi ignoranza sugli argomenti.
    Lo adoro perchè mi fanno crescere un pochino. E nel tuo caso, oltre a farmi crescere un pochino, ho trovato un testo che racchiude in percentuale molte più idee mie personali di quante ne abbia trovate in altri testi.
    Attenderò con estrema fiducia il lavoro del futuro, nel quale mi hai catapultato con le ultime due frasi del tuo racconto, piene di significato più del testo stesso.

    Per cui grazie, davvero.
    Sarà difficile non metterti nella mia personale classifica.
     
    .
  11.     Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Penna furiosa

    Group
    Member
    Posts
    1,178
    Me gusta
    +190

    Status
    Anonymous
    Tante sono le considerazioni che mi vengono da fare dopo questa lettura. Prima di tutto in questo brano si palesa la tua vasta cultura, di cui mi avevi già dato un assaggio nei vari commenti postati sotto gli scritti degli autori di Sps. Ti confesso che mi hai fatto sentire di un'ignoranza abissale e subito dopo questa considerazione mi sono ritrovato a pensare alla fortuna dei tuoi amici, che poco alla volta, giorno dopo giorno, possono carpire un pò di questo sapere. Qui l'effetto è in verità un pò destabilizzante, perché vengono proposti un numero di nomi, situazioni e concetti impressionanti, che sembrano ubriacare il lettore come i liquori che tracanna senza sosta il tuo protagonista. Di sicuro mi è piaciuto molto di più il tuo primo racconto, l'ho trovato più fruibile, più semplice, però capisco la tua scelta, il voler dare vita a qualcosa di diverso, di più ambizioso, o comunque di più stimolante per te. Come hai scritto sopra sei conscio che questa scelta non piacerà a tutti e ci sarà chi si lascerà ammaliare da ciò che appare ostico e insormontabile e chi invece circumnavigherà l'ostacolo senza dargli troppa importanza. Chi scrive molto spesso lo fa per vanità, per piacere agli altri. Qui c'è poco di tutto ciò, c'è la voglia di portare avanti un discorso diverso, un gioco con se stessi, per raggiungere il traguardo attraverso la strada più disagevole e meno battuta che però, alla fine, regala soddisfazioni infinitamente maggiori.
     
    .
  12.     Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Penna suprema

    Group
    Gli irriducibili
    Posts
    6,941
    Me gusta
    +659

    Status
    Offline
    Ne ho avuti amici di grande cultura pur essendo un borgataro ignorante.
    L'ambiente lavorativo me ne proponeva a decine.
    Li ritrovavo pure in vacanza nei vari meeting sportivi che l'Istituto organizzava d'estate e d'inverno.
    Cupi e introversi se ne stavano in disparte e io li accalappiavo con la mia identica timidezza. Poi li conquistavo con le mie qualità atletiche, con il mio apporto nelle staffette di nuoto e di corsa.
    Ero uno di loro?
    No, solo un simpatico impostore.
    Mio vincitore.
    È non lo dico solo per la rima.
     
    .
  13.     Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Penna stilografica

    Group
    Member
    Posts
    606
    Me gusta
    +75
    Location
    Firenze

    Status
    Offline
    Confesso la mia inadeguatezza nel dare un parere su un brano che, per mia ignoranza, sono riuscito a leggere con grande fatica. Mi trovo combattuto fra due opposte sensazioni: da un lato, la grande ammirazione per la tua conoscenza di discipline cosi diverse fra loro, come la scienza e la filosofia, che sei riuscito a rendere strettamente legate e connesse. Aggiungerei anche tutte le altre incursioni, più superficiali, meno profonde, in molti (oserei dire "tutti") gli altri campi della conoscenza e della cultura dell'umanità. E tutto questo in poche pagine. Dall'altro lato però ti rimprovero, bonariamente, perché ho trovato questo modo di scrivere troppo autoreferenziale. Mi ha dato l'impressione che tu abbia scritto solo per te stesso, quasi a voler fare un punto della tua cultura in una specie di inventario mentale del tuo bagaglio culturale, perdendo di vista il filo della narrazione che resta molto in ombra e assolutamente secondario. Altrettanto secondario è il ruolo del tuo lettore che si trova schiacciato da questa massa di dotte citazioni, senza riuscire a entrare in alcun modo in gioco. In sintesi: hai tutta la mia ammirazione, ma ho un'idea più "altruistica" della scrittura.
     
    .
  14.     +1   Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Penna d'oca

    Group
    Member
    Posts
    343
    Me gusta
    +63

    Status
    Offline
    Ho apprezzato il tuo intervento, Necromante. Hai colto nel segno, la guerra tra Essere e Necessità (due macro pensieri li chiami tu) tra Einai e Ananke costituisce l'ossatura dei miei racconti, su cui sto provando a sviluppare diverse trame all'apparenza distanti, ma collegate da quest'unico filo.
    Come hai correttamente rilevato questa guerra, questo contrasto, non è frutto della mia fantasia, ma è reale, vivente, e condiziona le nostre vite senza che la maggior parte di noi se ne accorga mai.

    La scienza pura non esiste, l’assunto finale e ricorrente nella narrazione contemporanea è che la tecnica (e quindi anche la scienza) sia neutrale, quindi di per sé del tutto innocua, che rappresenti in potenza sempre la soluzione a qualsiasi problema (e mai il problema) e che invece provenga in modo esclusivo dal suo utilizzo (dipendente dalla politica, dalla religione, dall'ideologia, dalle compulsioni e dai sentimenti umani, in una parola dall'uomo) l'attitudine a provocare tutti i disastri che quotidianamente viviamo, ultimo caso la pandemia di Sars 2.
    Da quasi tre secoli la riflessione epistemologica e fenomenologica (la filosofia, e poi la sociologia la psicologia l'antropologia) prova a interrogarsi sulla vera natura della tecnica, intesa come paradigma, arrivando concordemente all'assunto della sua non neutralità .
    Non si tratta di poca cosa, perciò permettimi un piccolo salto all'indietro.

    Dopo l’azione esercitata con la tecnica sulla natura, l’uomo si trova a dover subire la reazione del procedimento tecnico sulla propria essenza, che viene inevitabilmente modificata.
    K.Jaspers, Origine e senso della storia.

    La tecnica moderna, intesa come ciò che aveva la disponibilità e l’impiego di tutte le cose, non è un operare puramente umano.
    M.Heidegger, La questione della tecnica.

    La tecnica è stata promossa dall’esigenza umana di dominare la natura. Il dominio è dunque l’intenzione di fondo e insieme l’orizzonte a partire dal quale ha luogo la comprensione del mondo e l’orientamento in esso. Come volontà di dominio, la tecnica può raggiungere il suo scopo solo se è in grado di esercitare un controllo su ciò che accade, nel senso di far accadere e di fare essere ciò che è conforme a quanto è stato progettato. Dire questo significa dire che la tecnica, nella sua espressione moderna, diventa l’orizzonte ultimo a partire dal quale si dischiudono tutti i campi di esperienza. Non più l’esperienza che, reiterata, mette capo alla procedura tecnica, ma la tecnica come condizione che decide il modo di fare esperienza.
    U.Galimberti, Psiche e Techne.

    Il mondo della tecnica è il mondo del dominio, a cui si trova sottoposto l’uomo stesso che come soggetto aveva progettato la propria incondizionata signoria sulla Terra. Dietro l’ideologia del soggetto viene smascherata dal pensiero che penetra l'essenza della tecnica la realtà che quella copre e nasconde, vale a dire l'asservimento più completo dell'uomo, nella forma della riduzione del suo essere, per un lato, a materiale a disposizione per le operazioni di dominio, e per l'altro a funzionario. Il pensiero che interroga la storia dell'essere porta così alla luce una vera e propria dialettica della soggettività, che ha il suo compimento nel mondo della tecnica: divenuto soggetto l'uomo non è liberato per la propria affermazione più sicura, ma il suo dominio si converte in servitù: è ridotto a oggetto, anzi a materiale di impiego.
    M.Ruggenini, Il soggetto e la tecnica.

    Le citazioni hanno l’unica funzione di dar risalto a una questione solo all’apparenza scontata; il comune modo di pensare: la tecnica neutrale e l’uomo che la indirizza con il suo agire verso il bene o verso il male.

    D’altra parte non vorrei che passasse (come sempre avviene) un’idea luddista priva di ogni senso critico. Non è mia intenzione sparare contro la tecnica e le macchine, ma l'esatto contrario; per cui ora proverò a formulare una premessa con alcune alcune tesi fenomenologiche.
    Gli esseri umani ritengono di essere al vertice della piramide evolutiva, se non proprio i figli dell'unico Dio delle religioni rivelate o degli dei delle mitologie precedenti, da Egli creati a Sua immagine e somiglianza. L'uomo si è sempre sentito prossimo alla divinità più che alle altre creature della Terra.
    Tuttavia, se ci si riflette a mente serena, cercando di non farsi influenzare da millenni di idee preconcette (sembra facile), l'uomo che si riflette allo specchio, senza armi o indumenti, appare per quel che è: uno scherzo di natura più che un essere formidabile.

    L'uomo è l'unico animale che, per la sua scarsa dotazione di istinti, di sensi, e di capacità fisiche e motorie, ha mostrato sempre una scarsissima capacità di adattamento all'ambiente circostante, a qualsiasi ambiente naturale. Per intenderci, non abbiamo peli per proteggerci dal freddo o dal sole, non abbiamo denti o artigli con i quali difenderci od offendere, siamo lenti o lentissimi nella fuga, non disponiamo di un udito od olfatto sofisticati, la notte siamo come ciechi. Siamo fragili, soffriamo le intemperie e nel mondo naturale, senza indumenti e senza strumenti, siamo indifesi e inermi. Per non parlare dei nostri cuccioli, i quali sono quasi degli aborti, per la loro incapacità di essere autonomi per dei lunghi anni, poiché troppo a lungo rimangono totalmente dipendenti dai genitori. L'uomo ha sempre faticato in ogni ambiente naturale (anche in quelli più adatti alla propria natura) e la paleontologia sta lì a raccontarci le molteplici occasioni in cui nel passato l’umanità è andata pericolosamente vicina all'estinzione; anzi la storia della specie Homo sembra una storia di grandi estinzioni testimoniata dalla bassissima variabilità genetica del nostro DNA.
    Gli altri animali, invece, sono perfettamente adattati all'ambiente naturale in cui nascono e vivono, hanno storie evolutive più lunghe e stabili, si trovano sempre a loro agio nei contesti di riferimento; e sin dalla nascita, o giù di lì, riescono a sopravvivere in modo autonomo quasi esclusivamente con l’armamentario materiale e istintuale ereditato per via genetica.
    Vivono una vita felice e senza tempo.
    La differenza tra la vita umana e quella animale è quindi apparsa sempre evidente all'uomo tanto che egli definisce se stesso Essere umano in ciò discostando se stesso, già dal punto di vista semantico e simbolico, dal resto del mondo animale. Essere perché egli non vive semplicemente, come fanno gli altri animali, in quanto egli e-siste e perciò definisce la propria vita e-sistenza.
    Il passaggio dalla vita all’esistenza (ek-sistere) è cruciale.
    Secondo l'interpretazione esistenzialista e fenomenologica (cfr. Karl Jaspers, Psicopatologia generale e Martin Heidegger, Essere e tempo) esistere non indica un’esistenza subordinata a una qualche presenza divina (a differenza dell’ontologia e di tutta la filosofia medievale poi), quanto il sussistere fuori, fuori dalla Natura, fuori da un ambiente naturale.
    L'uomo, dunque, come unico animale che sussiste al di fuori dell'ambiente naturale.
    Se si vuole porla in altri termini, l'uomo è il solo animale che non è riuscito ad adattarsi all'ambiente naturale in cui è nato e, per sopravvivere, è stato costretto a creare un proprio ambiente, un mondo diverso, artificiale, in cui poter sviluppare la propria e-sistenza. Insomma, l'essere umano, per vivere, ha dovuto creare un mondo umano, un ambiente a propria misura, solamente suo.

    La creazione dell'ambiente umano è avvenuta e avviene attraverso la tecnica, attraverso il fare, il saper fare, capacità liberatasi in principio — questo si presume — dall'interazione tra mani e occhi. La possibilità di fare ha forse sviluppato la nostra postura eretta, agevolando questa interazione, per cui è possibile sostenere (le evidenze scientifiche le fornisce la paleontologia; la capacità di usare e controllare il fuoco ha oltre mezzo milione di anni e risale all’Homo Erectus.) che la tecnica sia di molto precedente all'avvento dell'Homo Sapiens e anche alla nascita dell'intelligenza umana come oggi la conosciamo e la definiamo.
    La tecnica, il fare, sembra precedere dunque l'intelligenza umana (e non viceversa); non è un punto da poco.
    Il saper fare indirizza la nostra evoluzione, la costruzione di utensili e strumenti modella la nostra mente (e non viceversa) e costruisce un rapporto originale tra noi e il mondo; anzi dis-vela il mondo (alethéia) e lo modella in modi nuovi. Con la tecnica l'uomo costruisce una nuova relazione tra sé e il mondo, che poi è la Natura. Per mezzo della tecnica l'uomo procede allo svelamento (alethéia) della Natura. Per mezzo della tecnica la Natura, e quindi il mondo, si propongono all'uomo come alethéia, come verità dis-velata.
    È possibile quindi affermare che la tecnica sia la vera essenza dell’Uomo e attraverso di essa egli propone la sua signoria sul mondo.
    Quando Prometeo (seguendo il mito greco magnificamente rappresentato da Eschilo nel Prometeo Incatenato) dona il fuoco agli uomini, egli appunto dona loro la tecnica, il saper fare. Prometeo è per i Greci pro-metheus (letteralmente colui che prevede): un nome non casuale.

    La capacità di fare ha sviluppato nella specie Homo la capacità di prevedere le conseguenze di questo fare; la pre-visione nasce dall’intuizione che esiste un nesso di causalità, che ogni azione genera delle conseguenze.
    Si obietterà, anche gli animali possono prevedere un’azione e agire di conseguenza. In realtà una differenza tra l'animale e l'uomo esiste: mentre il primo re-agisce ( e la reazione è dettata dal suo apparato istintuale: l'animale reagisce sempre in seguito a uno stimolo, esterno o interno, nel modo che gli viene indicato dal suo stesso apparato istintuale) l'uomo, oltre a reagire come un animale agisce. Ossia, compie un'azione di cui può pre-vedere la reazione. Così, attraverso la tecnica, l’uomo prevede e controlla, non solo il suo agire, ma anche la Natura.


    Attraverso il successo della tecnica, grazie alla capacità di previsione, l'essere umano si sottrae all'atemporalità animale, distingue tra passato, presente e futuro, diventa padrone del proprio destino (ma anche l’artefice della propria infelicità, del proprio disagio. Ma questa è un’altra storia).
    L’uomo diventa consapevole dello scorrere del tempo, e della direzione del tempo. E chissà, forse proprio questa direzione, questo eterno movimento in avanti si pone all’origine del Senso dell’Esistenza.
    Ma il dono di Prometeo va anche oltre, in quanto permette all'uomo di raggiungere la salvezza non più solo affidandosi agli dei, perché facendo e prevedendo, grazie alla tecnica, realizza da sé solo la propria salvezza. Anche questo però è un altro tema ancora.

    “L'agire (praxis) e il fare (techne) acquistano rilevanza nella riflessione greca sull'uomo. Alla riflessione greca si deve la differenza tra contemplazione e studio della natura (theoria) e capacità di produzione (poiesis).
    La produzione di cose, di strumenti, di utensili, avviene secondo le regole della tecnica, mentre la produzione di atti secondo le regole dell'etica. Ma sia la tecnica che l'etica avevano nella natura (physis) il loro paradigma e limite.
    La tecnica apprende le regole della poiesis imitando i processi di trasformazione della Natura, l'etica le regole della misura e dell'ordine a imitazione dell'ordinamento cosmico” (U.Galimberti, Psichiatria e Fenomenologia).

    Nell'antica Grecia sia la tecnica che l'etica sono sottomesse alla Natura, non essendo quest’ultima piegabile agli scopi umani. Per indagare sulla propria Essenza (ontologia) all'uomo pertanto rimaneva solo la theorìa, ossia la libera contemplazione, lo studio, della Natura.
    La scienza greca, come quella del mondo antico in genere, è solo theorìa, e non epistéme (ossia la scienza basata sul metodo sperimentale).

    La nascita della Scienza moderna (epistéme), agevolata dalla stabilità e trasmissibilità nel tempo, attraverso innumerevoli generazioni, del sapere tecnico capovolge totalmente la prospettiva greca. Con l’epistéme la Natura da soggetto, seppure indomabile (Anànke, necessità) viene trasportata in laboratorio e diventa oggetto di sperimentazione, anzi diventa essa stessa un enorme laboratorio dove l'uomo sperimenta il proprio agire.

    L'artificio indispensabile alla scienza moderna per funzionare è la riduzione (Riduzionismo scientifico) di tutto quanto esiste a un modello; un modello verificabile e riproducibile. La scienza moderna quindi, per spiegare come tutto funziona lo deve ridurre; non solo a un'unità minore (riduzione quantitativa) ma deve anche reificare ciò che si studia, il quale diventa appunto oggetto di studio, di esame, di sperimentazione. La reificazione non riguarda solo la Natura, ma anche l’Essere umano.
    Non solo la Natura da soggetto diventa oggetto, ma anche l’Essere umano da soggetto diventa oggetto. La scienza medica moderna cosa fa infatti, se non ridurre l’Essere umano di volta in volta a un singolo organo, in modo da poterne spiegare il funzionamento, seppure in vista di una cura?

    Tuttavia la scienza moderna (per sua natura a-finalistica) funziona. Il suo approccio funzionale alla realtà, funziona. Il suo tentativo di spiegare il mondo produce risultati mai visti prima. Ma per spiegare come essa fa deve ridurre, e nell'opera di riduzione l'epistéme rinuncia a com-prendere, perché non ha più a che fare con soggetti, ma solo con oggetti.
    L’incapacità di com-prendere mostra il suo lato debole proprio quando si parla di Uomo e di scienze umane e sociali. Mi riferisco alla sociologia, al diritto, all'antropologia, alla psicologia, all'etica, alla politica, alla filosofia, all'economia (ma anche alla cosmologia per altri versi), settori tutti dove il riduzionismo scientifico non ha funzionato come ci si aspettava.

    Persino il rapporto tra l'uomo e la tecnica muta con l'avvento della Scienza moderna.
    Per tutta la storia umana la tecnica era servita all’uomo come regime di verità, come svelamento (aletheia) della Natura, in quanto il pro-durre è un con-durre, in quanto conduce qualcosa da uno stato di latenza a uno di non latenza.

    La techne è un modo dell’aletheyein. Essa disvela ciò che non si produce da se stesso e che ancora non sta davanti a noi, e che perciò può apparire o ri-uscire ora in un modo ora in un altro. L’elemento decisivo della techne non sta perciò nel fare e nel maneggiare, nella messa in opera di mezzi, ma nel disvelamento menzionato.
    M.Heidegger, La questione della tecnica.

    La tecnica moderna mette fine alla circolarità “produzione come svelamento” “effettive pratiche produttive”.

    Il disvelamento della tecnica moderna non si dispiega in un pro-durre nel senso della poiesis. Il disvelamento che vige nella tecnica moderna è una pro-vocazione la quale pretende dalla Natura che essa fornisca energia che possa come tale essere estratta e accumulata. Ma questo non vale anche per l’antico mulino a vento? Le sue ali girano sì spinte dal vento, e rimangono dipendenti dal suo soffio. Ma il mulino a vento non ci mette a disposizione le correnti aeree perché le accumuliamo.
    M.Heidegger, La questione della tecnica.

    Se la tecnica antica dispiegava le possibilità della Natura, la tecnica moderna tratta la Natura come un fondo a sua disposizione. Ciò che fa della Natura un fondo a disposizione è la tecnica stessa che, nella sua accezione moderna, riesce a determinare non solo il modo di manifestarsi della Natura, ma anche la sua disponibilità. Disponibilità non più richiesta dall’Uomo ma dalle richieste tecniche del suo Apparato, all'interno del quale l’uomo, non più soggetto ma oggetto, diventa un semplice funzionario, se non quando un mero materiale da impiegare al pari di tutti gli altri (trasformazione del lavoro dell'uomo in materiale d'impiego).
    Inoltre, la tecnica moderna spezza il legame tra l'Uomo e la Natura, e perde la sua originaria funzione di disvelamento del mondo e di dispiegamento della Natura all'Uomo.
    Ciò avviene con la produzione di massa, dove l'uomo da artefice diventa operaio, o funzionario della produzione di massa. O ancor peggio oggi, quando l'uomo sembra espulso dalla produzione materiale (poiesis) dai robot. Da macchine che costruiscono altre macchine.
    L'uomo cessa di comprendere ciò che si costruisce, persino la richiesta di ciò che si deve costruire sfugge all'Uomo, ma è dettata dall'Apparato.
    Il dono di Pro-meteo, il dono della pre-visione, sembra in contrasto con la tecnica moderna, a cui sfuggono i contorni e le conseguenze di ciò che si fa (penso alle biotecnologie, alle tecnologie nucleari, ma anche alla massiccia robotizzazione dell'attività di produzione). Un dono, quello della tecnica moderna, che sembra sia stato fatto dal fratello di Prometeo, Epi-meteo (colui che non pre-vede, in molti miti colui che scoperchia il vaso di Pandora).

    Quindi, per ricapitolare, se la tecnica antica dispiegava le possibilità della Natura all’Uomo, era il mediatore nel rapporto tra Uomo e Natura, con con la tecnica moderna sia Uomo che Natura sono disposti dalle richieste che le possibilità tecniche promuovono.
    La tecnica diventa l'ultimo orizzonte dell'uomo, un orizzonte senza limiti, dove tutto ciò che può esser fatto deve esser fatto.

    Questo disvelamento che consiste nell'impiegare e nel tutto disporre, può aver luogo solo in quanto l'uomo è per parte sua già pro-vocato a metter allo scoperto le energie della Natura. Se però l'uomo è in tal modo pro-vocato e disposto, non farà parte anche lui del fondo a disposizione? Le espressioni che dicono “materiale umano” o “ contingente di soldati” lo fanno già pensare. La guardia forestale che oggi misura il legname degli alberi abbattuti e che apparentemente segue allo stesso modo i sentieri già battuti da suo nonno è oggi impiegata dall'industria del legname, lo si sappia o no. Egli è impegnato al fine di assicurare l'impiegabilità della cellulosa, la quale è a sua volta provocata dalla domanda di carta destinata ai giornali e alle riviste. Questi, a loro volta, dispongono il pubblico ad assorbire le cose stampate, in modo da divenire impiegabile per la costruzione di un'opinione pubblica costruita su disposizione.
    M.Heidegger, La questione della tecnica.
    E ancora: Nella misura in cui l'Apparato dà luogo all'incondizionatezza dell'accrescimento e dell'assicurazione di sé, e in verità ha come scopo, l'assenza di scopo, allora l'uso dell'essente è un'usura. Le guerre mondiali e il loro carattere di totalità sono già conseguenza dell'abbandono dell'essere. Esse spingono a un'assicurazione di fondi a disposizione che è opera di una forma permanente di usura. Questo processo si impadronisce anche dell'Uomo, il quale non può più nascondere il carattere che fa di lui la più importante delle materie prime.
    M.Heidegger, Oltrepassamento della metafisica.

    Per dare un'idea di cosa sia un Apparato tecnico basta ricorrere a Max Weber. Egli scrive, in Economia e Società, che “ il modo formalmente più razionale di esercitare il potere è la razionalità tecnica”.
    Essa non è costituita solo da concettualità scientifica e strumentazione tecnologica, ma anche da un sistema di condizioni economiche, giuridiche, politiche, burocratiche, urbanistiche, sanitarie, scolastiche, militari, che consentono all'Apparato di potersi esprimere e funzionare.
    Max Weber individua queste condizioni nel capitalismo. Ma, a suo parere, dell'Apparato non può fare a meno neanche una società organizzata su base socialista.

    L'organizzazione marxista dell'Apparato scientifico tecnologico che doveva difendere ed estendere l'aspirazione alla società giusta è stata anche il principale ostacolo al funzionamento di tale apparato. Il capitalismo si è invece rivelato più idoneo del comunismo a rendere congruenti le proprie aspettative a quanto viene richiesto per il funzionamento ottimale dell'Apparato. Nello scontro con il capitalismo il comunismo ha quindi dovuto rinunciare ad aspetti sempre più caratteristici del proprio progetto di organizzazione dell'esperienza umana. Per reggere al confronto tecnologico con il capitalismo il comunismo ha dovuto rinunciare a se stesso. E forse ha tardato troppo a compiere questo passo, perché ha finito col mettere a repentaglio anche la componente economica di quell'apparato, per difendere il quale il comunismo rinunciava a se stesso.
    E.Severino, Il destino della tecnica.

    Pertanto, il comunismo dell'Est è crollato perché l'ideologia della solidarietà che si proponeva la soddisfazione universale dei bisogni umani era in contrasto con il potenziamento del proprio Apparato tecnico, necessario per contrastare l'ideologia capitalista dell'Ovest e realizzare lo scopo dell'ideologia comunista. L'insufficienza dell'Apparato comunista quindi, e non il desiderio di democrazia, hanno deciso il tramonto del comunismo.
    U.Galimberti, Psiche e Techne.

    Secondo Severino analoga fine toccherà al capitalismo. Il quale, guidato da un impulso irrazionale come l'avidità, prima o poi metterà in pericolo la sussistenza dell'Apparato tecnico scientifico e sarà da questo sostituito.
    La razionalità tecnica è il modo più razionale per governare il Mondo.

    Siamo dunque giunti alla trasposizione dei fini, quando il soggetto diventa oggetto. Non si tratta di un passaggio indolore, le conseguenze sono immani in quanto muta completamente, per la prima volta, il rapporto dell’uomo con l’universo.
    La trasposizione dei fini mette fine a tutte le esperienze conoscitive precedenti: etica, religione, politica, filosofia, sociologia, antropologia, psicologia.
    L'uomo può essere spiegato, ma non com-preso, con i mezzi della scienza moderna.
    La razionalità scientifica, essendo ipotetica, accetta di essere smentita. La verità scientifica (ipotetica) distrugge ogni ideologia, sia essa religiosa, politica o sociale, sin dalla radice insieme a ogni forma di sapere non scientifico, in quanto questi, se smentiti dalla storia, dai fatti, dalla stessa scienza, si auto-dissolvono.

    Per concludere, non voglio eludere la tua domanda finale.
    L'uomo si trova tra l'incudine e il martello. L'incudine della Scienza moderna, che ha trasformato l'Uomo da soggetto in oggetto, in un fondo a disposizione. Questa trasposizione di fini ha reso inefficace e inutile ogni antico sapere, ogni religione, etica, politica, filosofia. E il martello, perché resiste, non si sa ancora per quanto, il capitalismo con la sua irrazionale avidità elevata a sistema. L'ideologia più imperfetta di tutte forse, e le conseguenze di questa aspirazione ultima dell'uomo, la sola rimasta in vita, sono sotto gli occhi di tutti: quando l'accumulazione del denaro sembra essere l'unico merito, l'unico metro a disposizione, l'ultima aspirazione umana, l'ultimo barlume di storia.
    Alla fine di questo percorso il compianto, da poco scomparso, Emanuele Severino vede la caduta del capitalismo e la realizzazione del Paradiso della Tecnica.
    Non un bel posto per l'Uomo.
    Forse mi sono lasciato prendere, ma spero di aver lasciato intendere il mio punto di partenza.
    Grazie del tuo intervento.


    Caro, tommasino, ti definisci un borgataro ignorante; e se anche fosse vero (nutro su ciò molti dubbi), comprendere tutto come tu fai senza sapere nulla è un gran privilegio e una gran forza.
     
    .
  15.     Mi piace   Non mi piace
     
    .
    Avatar

    Penna d'oca

    Group
    Member
    Posts
    343
    Me gusta
    +63

    Status
    Offline
    A Leroux. Scrivo essenzialmente per me stesso, è vero, ma vale anche per il racconto precedente, per tutto quello che ho mai prodotto. Ti dirò di più: chi mi conosce ignora del tutto che io scriva; nessuno ne è a conoscenza, persino mia moglie in vent'anni non ha mai letto un rigo che sia uno di quanto io ho mai scritto in oltre trent'anni. Una parte del mio lavoro consiste nello scrivere, e perciò è facile che io scriva senza che alcuno se ne accorga. Scrivo in incognito, nascosto, in silenzio, come un carbonaro, sempre e solo per me, anche se da una decade circa frequento questo o quel sito dove mi metto alla prova. Il motivo? Forse per essere meno ego centrato, forse per l'esigenza di crescere stilisticamente, di ricevere qualche dritta, comunque di trovare un confronto. O forse, come scrivo anche in questo racconto, è solo una questione di autostima traballante; e il racconto possa esprimere in questo modo i sentimenti veri dell'autore, in un tripudio di autoreferenzialità. Uroburo.
    Grazie per aver permesso questa piccola confessione. Siete una bella cricca.
    Alla prossima.
     
    .
27 replies since 1/5/2020, 15:19   428 views
  Share  
.