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Capitana o mia Capitana! Sì, sono la Capitana, la capitana di questa splendida nave, la Fortuna. No, non l’ho scelto io il nome, ma da sempre l’ho considerato come un segno, un segno premonitore, un segno del destino, questa nave è mia, è la mia vita, è la mia Fortuna. Fortuna è una nave da crociera. Siamo nell’anno domina 2089, sì, 2089 anni dalla nascita di nostra signora Cleopatra. Siamo in partenza da Uaset, da qui si vedono i templi di Luxor e Karnak. Sono splendidi, bellissimi e alle ospiti della crociera, prima di partire, offriamo un primo giro turistico per gustarsi le meraviglie del luogo. È il nostro aperitivo. Luxor, Karnak, la valle dei Templi, la valle delle Regine. Questa è una delle crociere più richieste, forse la più famosa. Una volta partiti da Uaset ci si dirige verso la foce del Nilo e da lì si prende il largo nel Mar Bianco di Mezzo in direzione delle coste della Sicilia, dell’Etruria e di quelle Ispaniche. Offriamo un viaggio indimenticabile, ricco di bellezze naturali, storiche e archeologiche. Dopo l’aperitivo offriamo portate prelibate, degne delle più grandi regine, degne di Cleopatra e di tutta la sua discendenza, ma la nostra fama, in confidenza, non è solo merito di aperitivo, primo e secondo, la nostra fama è soprattutto dovuta al dolce. Fortuna conta 1027 membri di equipaggio. Tutte molto professionali, ottimi elementi. Sì, certo, ci sono anche alcuni prepuzi con i loro due neuroni che vagano nel vuoto del cervello, ma loro, per lo più, sono adibiti al servizio in sala e nelle camere e poi, come ovvio, a soddisfare i desideri delle nostre ospiti, ma la verità è che è proprio per uno di loro che la mia nave Fortuna è diventata famosa: “il Silvio”! Il migliore, l’unico. Il dolce. Silvio è un prepuzio di quasi 83 anni. È nato nel 2006 D.C. Non è che sia bello in modo particolare. È basso di statura, un po’ pelato, occhi piccoli e labbra sottili, ma è quello che sa fare che lo ha reso famoso. Sa cantare, suonare, ballare, raccontare barzellette, per lo più sconce, le inventa lui, ma soprattutto è un amante infaticabile. Si calcola che circa la metà dell’umanità discenda da lui, almeno l’80 % solo in Egitto. Io lo adoro. Per un certo periodo ho cercato di tenerlo tutto per me, il mio toy-prep personale, ma poi ho dovuto cedere agli affari. È il nostro pezzo da novanta. La stragrande maggioranza delle nostre ospiti prenota la crociera solo per lui. La stragrande maggioranza delle nostre ospiti, finita la crociera, scende dalla nave gravida, e quelle che non lo sono, beh, di sicuro non è per colpa sua. Ogni sera a cena, dopo una lunga e faticosa giornata di lavoro, mi siedo a tavola, nel salone principale, con almeno una trentina di commensali scelte da me fra le 3470 viaggiatrici. È il momento clou della serata, fanno a botte per poter essere invitate. A volte facciamo una specie di lotteria, una riffa, e alcune ospiti comprano anche cento, duecento biglietti pur di avere maggiori probabilità di essere estratte. Al termine della cena arriva lui, “il Silvio”, il dolce, su un vassoio d’argento, depositato al centro del tavolo, completamente nudo. Applauso di tutta la sala. Tutte le sere. Per prima tocca a me, ce lo passiamo l’una con l’altra e lo baciamo, sulla punta del membro, e lui, lui si lascia fare, sorridente. È il nostro Priapo, è lui, il figlio della leggendaria Afrodite. Lo adoro, è il mio cucciolo. Poi lo facciamo girare come fosse una bottiglia e quando si ferma, lì dove il membro indica, la notte è sua, tutta la notte con lui. Siamo partite da Uaset i primi giorni della stagione dell’Akhet, i giorni durante i quali all’orizzonte compare la stella di Sirio. È la stagione dell’inondazione, la stagione delle piene, una delle stagioni più belle per navigare. Le acque invadono i campi, i contadini li irrigano, e durante la navigazione si può godere della potenza e dell’immensità del fiume. Anche le altre due stagioni sono belle, quella del Peret, quando le acque cominciano a ritirarsi e i campi vengono arati e seminati, e quella del Shemu, della siccità, il periodo della mietitura e del raccolto, con i campi che si colorano di verde e di oro, ma io preferisco la piena, la potenza del fiume, della natura, io preferisco “il Silvio”. Siamo quasi arrivate alla foce del Nilo, pochi giorni di navigazione, ed ecco, l’imprevisto. Dovremmo fare scalo ad Al-Qahira, ma non ci danno il permesso. Ci dicono che c’è un virus e che è meglio che ci manteniamo a distanza dal porto, al centro del fiume. Rimaniamo ferme per due giorni, aspettando notizie, ma niente. A bordo il clima rimane sereno, Silvio racconta barzellette, canta, suona e balla. Le nostre ospiti non sembrano preoccupate, si divertono. Da terra nessuna novità. Insieme con il mio gruppo di strette collaboratrici decidiamo di ripartire. Si va verso Siracusa. Cerco di avere informazioni più precise su quello che sta succedendo ad Al-Qahira, ma i collegamenti sembrano interrotti. Dopo pochi giorni siamo in vista delle coste sicule, ma anche qua non ci lasciano avvicinare. Tramite le luci di segnalazione ci comunicano che la situazione a terra è grave e ci chiedono se a bordo abbiamo casi di passeggere con il virus. Ma di che Virus stanno parlando? Noi non ne sappiamo niente. Ci rispondono che, boh, è un virus. Dalla risposta capisco che stiamo comunicando con un prepuzio. Chiedo di poter essere messa in contatto con la funzionaria del porto. È malata. La sua vice? Non sta bene! Qualcun'altra che non sia un prepuzio? Tutte indisposte. Chiedo: viveri? In realtà ne abbiamo a sufficienza, ma in questo modo spero di poter parlare con qualcuno e avere informazioni dirette. Ci rispondono, no grazie, abbiamo appena finito di mangiare, siamo a posto. Maledetti prepuzi! Ripartiamo. Le nostre ospiti cominciano a essere nervose, Silvio comincia a ripetersi con le barzellette e il suo repertorio musicale è quasi finito. Tutte ci chiedono cosa sta succedendo, ma non sappiamo cosa rispondere, così cerchiamo di prendere tempo. Andiamo verso l’Etruria. Veniamo avvicinate da due motovedette. Ci sparano. Con il binocolo vedo che alla guida ci sono dei prepuzi. Macchecazzo sta succedendo? Ci allontaniamo. Gettiamo l’ancora vicino all’isola di Nuraghia. Cerchiamo di fare il punto della situazione, ma è difficile trarre delle conclusioni senza comunicazioni da terra. Dopo tre giorni che siamo alla fonda veniamo avvicinate da un piccolo vascello. A bordo sono in quattro, non sono prepuzi. Sono vestite come astronaute. Ci chiedono di salire a bordo e di essere messe in quarantena. Cazzo. Incomincio davvero a preoccuparmi. E se fosse una trappola? Facciamo una breve riunione e alla fine decidiamo di far preparare una cabina sul ponte di comando apposta per loro e le facciamo salire. Finalmente potremo sapere cosa sta succedendo. E veniamo a saperlo. Un virus, un terribile virus piovuto dal cielo. Colpisce tutti, indistintamente. Fa gonfiare i neuroni nel cervello fino a farlo implodere. I prepuzi non subiscono particolari danni, i loro due neuroni, gonfiandosi, hanno comunque tutto lo spazio che vogliono, anzi, ingrandendosi tendono a stabilizzarsi, ma per noi, che di neuroni ne abbiamo miliardi, l’effetto è devastante. Le nostre migliori menti, le grandi scienziate, filosofe, scrittrici, artiste, le migliori matematiche, architette, le nostre migliori porno dive, tutte impazzite, tutte ridotte a un livello mentale addirittura inferiore a quello dei prepuzi. Il contagio è stato talmente veloce che non c’è stato nemmeno il tempo per approntare una cura. È la fine. Il creatore, quel maledetto, ce l’ha fatta. Aveva fatto altri tentativi nei secoli, altre epidemie, cataclismi naturali, invasioni di cavallette, ma ogni volta, noi, eravamo sempre un passo avanti a lui. Trasformavamo i suoi stupidi tentativi in opportunità. I cataclismi li abbiamo controllati, fatti diventare energia e attrazioni turistiche, le epidemie contrastate, e le cavallette, ma avete idea di quante ricette si possono inventare con le cavallette. Sono diventate uno degli ingredienti più apprezzati a livello internazionale. Il creatore non può competere con la nostra intelligenza, creatività, con il nostro amore per la vita, ma questa volta ci ha fregate e le scienziate sono impazzite prima ancora di trovare una cura. Chiediamo alle nuove ospiti se hanno avuto notizie dalle altre regioni, ma le ultime comunicazioni che sono riuscite ad intercettare sono: no, grazie, abbiamo appena finito di mangiare e siamo a posto. Prepuzi deficienti. Decidiamo di ripartire verso le coste ispaniche, magari lì il virus non è ancora arrivato. Ci portiamo a rimorchio il vascello delle quattro nuove ospiti. Silvio ci racconta la barzelletta del membro dell’asino, è la decima volta in cinque giorni. Mi scuso con le passeggere, è vecchio, perdonatelo, ma se con le barzellette sta facendo cilecca, il nostro Priapo continua a non perdere un colpo a letto. Una sera manometto il giro della trottola dopo che ce lo siamo passate sul tavolo. Il suo membro si ferma proprio sotto il mio naso. Lo carezzo, lo bacio, passiamo tutta la notte insieme, scarico la tensione. Non so come faccia, sembra che il dolore durante l’eiaculazione gli porti ancor maggiore godimento. Una psicologa che lo aveva visitato anni fa aveva ipotizzato una malformazione alla base del cervello, io credo che la malformazione ce l’abbia alla base dell’uccello. Lui dice che è nato per questo, che questa è la sua missione. Lo bacio. Grazie mio cucciolo. Arriviamo in vista delle coste ispaniche, ci sparano con i cannoni, coglioni! Prepuzi. Ci segnalano con le luci che hanno appena finito di mangiare e che sono a posto. Lasciamo che arrivi la notte. Comunichiamo con le luci di segnalazione che attaccheremo il faro a mezzanotte. Mentre i prepuzi organizzano la difesa del faro, con il vascello attracchiamo poche centinaia di metri più in là, vicino ai magazzini del porto, e li svuotiamo di tutti i viveri e del carburante. I prepuzi non si accorgono di niente. Idioti. Alle tre di notte ci comunicano che siamo proprio delle stupidine e che non si fanno questi scherzi. Rispondiamo che no, grazie, abbiamo appena finito di mangiare e siamo a posto, e poi ripartiamo brindando con del buon vino ispanico e un buon piatto di paella per ogni ospite della crociera. Dobbiamo decidere dove andare. Tutto quello che sta succedendo è davvero assurdo. A questo punto non c’è più nessun porto che possa considerarsi sicuro. Do l’ordine al timoniere di dirigere la nave verso lo stretto di Gibilterra. Il silenzio cala nella plancia. - Capitana, nessuna è mai andata oltre le due grandi Poppe di Cleopatra. Le Poppe di Cleopatra è il nome che è stato dato ai due promontori ai lati dello stretto, il promontorio di Calpe, sulla sponda Ispanica, e quello di Abila, in Mauritania. Al di là delle Poppe il mondo conosciuto finisce. Nessuno si è mai arrischiato oltre. Le leggende parlano di mostri marini, di enormi gorghi che risucchiano le navi, di cascate gigantesche che finiscono nel nulla, ma non abbiamo scelta, il Mar Bianco di Mezzo è ormai diventato una trappola, andiamo oltre. Mi rivolgo alle mie più strette collaboratrici: - Se nessuna è mai andata oltre è solo perché non ce n’è mai stato bisogno, il mondo, la natura, sono stati sempre benevoli con noi tutte, abbiamo vissuto in pace e armonia con gli elementi, ma ora quel mondo non esiste più, e qualsiasi cosa ci aspetti oltre le Poppe non sarà certo peggio di ciò che ci lasciamo dietro. Mentre facevo questo discorso ho chiesto a Silvio di cantare e suonare in sottofondo un pezzo epico, che stampasse nei cuori e nella memoria di tutte l’unicità di quel momento. - Noi oggi stiamo facendo la storia. E Silvio, sul sottofondo, cantava e suonava Carusica. Te voglio bene assaje Ma tanto tanto bene sai È una catena ormai Che scioglie il sangue dint' 'e 'vvene sai… Anche io ti voglio bene, Silvio. Oltrepassiamo le Poppe e non succede niente. Siamo in mare aperto, niente più all’orizzonte, né davanti né dietro, navighiamo a vista. Il nervosismo nell’equipaggio sale. Anche i pochi prepuzi di servizio sono stanchi, vengono poco considerati, le mance scarseggiano, nessuno li vuole fra i piedi. Uno di loro, che faceva servizio in camera, pensando di far colpo su una passeggera, ha raccontato la barzelletta dell’asino. È stato gettato in mare e la barzelletta messa al bando. Viaggiamo a velocità ridotta nel timore di incontrare qualche ostacolo, un gorgo gigante o le famose cateratte, ma niente. Sono ormai passati sette giorni di navigazione e all’orizzonte ancora niente. Le passeggere sono sempre più stanche e nemmeno il karaoke sembra avere effetto sull’umore. Chiedo a Silvio di inventarsi qualcosa, mi chiede se conosco la barzelletta dell’asino, gli do un pugno, ma poi subito dopo lo bacio. - Scusami Silvio, sono nervosa. Gli tiro giù i pantaloni e gli monto sopra. Facciamo l’amore, fuori, sul ponte di comando, lui mi gira, mi mette alla pecorina, aumenta il ritmo dei colpi, sempre più veloce, dio come gli voglio bene, sono già al terzo orgasmo, sono esausta, quando finalmente lo sento gridare, penso, ecco, ha raggiunto anche lui l’orgasmo, ma poi il grido si ripete, continuo, quasi meccanico: - Terra - Terraa - Terraaa - Terraaaaa… Tutte escono dalla plancia, le passeggere dalle cabine, io sono lì, nuda, il membro di Silvio infilzato nel culo, ma niente, nessuna ci fa caso, tutte guardano verso l’orizzonte. - TERRAAAAAAAA!!! Ho il quarto orgasmo. - Silvio! Lui mi guarda, i piccoli occhi spalancati: - Mi consenta, Capitana, ma credo proprio di aver visto terra! Scoppio in una risata, lo bacio. Do l’ordine di avvicinarci alla costa. Niente motovedette, niente cannonate. Caliamo l’ancora e aspettiamo un giorno alla fonda, poi ci decidiamo. Mettiamo in mare le scialuppe e ci avviciniamo alla riva, in lontananza intravediamo del movimento e quando tocchiamo terra ci viene incontro un gruppo formato da prepuzi e altre creature identiche a noi. Non sembrano malate. Qui il virus non è arrivato. Ci accolgono con delle corone di fiori e piatti ricchi di pietanze. Ci rifocilliamo. Cominciamo a comunicare. La lingua che parlano non è molto differente dalla nostra. Chiediamo loro dove ci troviamo, loro si guardano e ridono. - Che nome ha questa terra? Ridono ancora. - Non abbiamo mai sentito il bisogno di dare un nome alla terra che abitiamo. Decido che la chiameremo Priaperica, in onore di Silvio che per prima l’ha avvistata. Loro ridono, ancora. - Potete chiamarla come volete, ma la terra sarà sempre terra. Poi ci chiedono da dove veniamo e che cosa è successo. Raccontiamo loro del primo prepuzio e della prima creatura intelligente, quella da cui tutte noi discendiamo, poi raccontiamo di Maria, di Cleopatra, del mondo da cui veniamo, e poi di quello stupido creatore e della sua ultima vendetta, il Virus. Loro ci ascoltano con gli occhi spalancati. A questo punto chiedo a loro: - Come mai da voi non è arrivato il virus? Sorridono. - Perché da noi non c’è il creatore, ma la creatrice, la sua ex moglie. Ha rubato gli stampi al marito e ci ha riprodotte e riprodotti tali e quali a voi, e poi, poi ci ha spiegato come fare a non far soffrire i prepuzi quando eiaculano, ecco, guardate, basta fare un taglietto qui, alla base del glande. Prendono in mano il membro di Silvio e gli fanno una piccola incisione. - Si chiama circoncisione. Sono confusa. - Scusate, ma quanti neuroni hanno i vostri prepuzi nella testa? - Due, ma riescono a farli funzionare bene, e con loro viviamo d’amore e d’accordo. Siamo sereni. È incredibile. Decidiamo di fermarci. Torniamo sulla nave per portarci via giusto il necessario e poi decidiamo di affondarla. Non torneremo mai più indietro. Ora vivo insieme a Silvio. Lui ha costruito una casa in legno, vicino alla spiaggia. Se la cava bene con l’edilizia. Sta pensando di costruire un intero quartiere in grande stile, per tutte le passeggere della nave, passa intere giornate a disegnare il progetto. Lo amo. Facciamo l’amore tutte le notti.
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