Un rifugio sicuro

Fiaba - parte I

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    Racconto favolistico per ragazzi dagli otto anni in su.

    Lucciole pietose accendevano il buio, divampando qua e là come spiritelli dispettosi. Bettina le seguiva confidando in quella luce che prometteva sollievo e dava un segno di speranza.

    Sua madre Elsa, composta nel letto immobile, sembrava dormire. Il volto dolce e rilassato aveva trovato la sua armonia nel dolce rifugio della morte.
    La loro vicina, Sara, l’unica persona che fosse venuta a vegliare la defunta, seduta accanto a lei, sonnecchiava e il capo le crollò sul petto facendola risvegliare.
    L’aria era satura dell’odore dei fiori, immersi nei secchi d’acqua ai piedi del letto e della cera delle candele che bruciavano.

    — Domani verranno i tuoi zii a prenderti e andrai a vivere con loro a San Vitorino. Hanno due figli un maschio e una femmina più o meno della tua età. — disse la donna.

    Bettina annuì. Le sue preghiere erano state accolte, non c’era niente in quel luogo che la tenesse legata, oltre al corpo morto di sua madre.

    La donna accanto a lei ricominciò a sonnecchiare sopraffatta dal mormorio della preghiera.
    ؙ
    —Eterno riposo donale Signore…

    Bettina aveva solo otto anni ed era rimasta sola. Accarezzò sua madre, le sistemò i capelli neri sulla fronte, le sfiorò le mani bianche, gelide, rovinate dal lavoro… ora avrebbe riposato per sempre. Era ancora giovane la sua bella mamma. Quanti sacrifici aveva fatto da quando era morto suo padre, sei mesi prima.

    ***

    Ogni mattina prima dell’alba il fattore mandava a prendere Elsa con un furgoncino e dopo aver raccolto tutte le braccianti che occorrevano per il lavoro nei campi, portava le donne a raccogliere verdura e frutta di stagione. Tornava a casa a sera distrutta e trovava Bettina, che nonostante l’età cercava di tenere la casa pulita e cucinarle un boccone.

    — Dovrai essere coraggiosa Bettina. So che ami andare a scuola, appena avremo qualche spicciolo in più tornerai a studiare.

    La loro casa di campagna era molto distante e lei non poteva accompagnare la piccola a scuola dovendo uscire di casa molto presto. Non poteva permettersi l'abbonamento dell'autobus, il denaro lasciatole dal marito bastava appena per mangiare, né poteva far andare la piccola sola, a piedi, per quel lungo tragitto.

    — Non preoccuparti mamma. Ce la faremo — le disse una sera.
    Elsa si tormentò le mani cercando di non farlo notare.
    Con le lacrime agli occhi che cercava di trattenere e il cuore in pena, Elsa accettò con gratitudine e dolore il conforto della sua bambina.

    Lavorò febbrilmente da mattina a sera facendo anche doppi turni, da un podere all’altro e da un padrone all’altro. Sperava nella bella stagione, ricca di raccolti, che offriva lavoro a piene mani

    Dovendo stare sempre fuori casa, raccomandò alla sua vicina, Sara, di tener d’occhio Bettina. La donna accettò con piacere, ma, avendo cinque figli a cui badare, chiese che fosse la ragazzina ad andare a casa sua, nelle ore in cui Elsa era al lavoro nei campi.

    Ogni mattina, Bettina, dopo aver sbrigato qualche piccola faccenda si avviava lungo il viottolo che portava dalla vicina. Camminava tra campi di erbetta verde luminoso, gli uccellini cantavano tra i rami degli alberi, quasi accompagnando i suoi passi fra i fili d’erba fruscianti.

    I riccioli biondi erano tenuti dietro le orecchie da un nastro rosso. Sua madre le aveva insegnato a lavarli con cura e a farli asciugare al sole durante la bella stagione. Il vestito leggero era quello bianco a fiori, il suo preferito. Tutti i suoi abiti erano variopinti, sua madre aveva voluto che lei fosse colorata, come una farfalla e non indossasse abiti neri, come voleva la tradizione quando un bambino perdeva un genitore.

    Nella squallida cucina di Sara i bambini litigavano e giocavamo rumorosi.
    Erano tutti scuri di carnagione e di capelli, col moccio al naso e le ginocchia sbucciate. Il figlio maggiore quattordicenne si atteggiava, però, già a grande e a volte si spruzzava di dopobarba. L’ultimo nato prendeva ancora il latte materno ed era roseo e paffutello, cominciava a fare strani gorgheggi e a Bettina piaceva intrattenersi con il bimbo il braccio.
    – Rico! Piccolo! Brum! Brum!
    E lo faceva volteggiare stando attenta a non farlo cadere e il bimbo rideva.
    Elsa passava a prenderla tornando dal lavoro e tornavano a casa insieme.

    Poi Bettina cominciò ad avere paura, una paura che non capiva, ma che le era apparsa all’improvviso e che non riusciva a scacciare.
    Il figlio maggiore della vicina, che l’aveva guardata con un’aria da ebete fin dalla prima volta che era stata a casa loro, quel giorno, a tavola, sedette accanto a lei. Lo sorprese a guardarla e ad annusarle i capelli, poi accostare il gomito al suo senza farsene accorgere dalla madre, affaccendata ad allattare l’ultimo nato.
    Quando Sara alzò gli occhi notò il piatto della ragazzina intatto.
    — Non ti piace la cicoria, Bettina? Non hai mangiato nulla…
    — Non ho fame — rispose la bambina con gli occhi bassi.

    Quella sera Bettina disse a sua madre.
    — Domani non vado da Sara, mamma.
    — E per quale motivo?
    La bambina senza guardare la madre rispose:
    — Trascuro troppo casa nostra e poi ho trovato i miei vecchi libri di scuola che voglio leggere, non vorrai mica una figlia ignorante?
    Nonostante sua madre cercasse di sapere il vero motivo la bambina non cambiò la sua versione e lei dovette crederle, sua figlia non aveva mai detto bugie.

    Da allora non volle più allontanarsi dal suo vecchio casolare e a volte passavano giornate intere senza che nessuno avesse la più pallida idea di come trascorresse il suo tempo. In realtà aveva davvero cominciato a rifugiarsi nei libri. Era affascinata dal senso delle parole, ma aveva scoperto qualcosa di più bello che le permetteva di creare immagini. Raccattava fogli bianchi dentro casa e con una matita sempre più consumata disegnava gli alberi, i fiori, la sua casa, tutto ciò che la circondava. Stava bene da sola, ma anche un piccolo scricchiolio la faceva sussultare, non si sentiva al sicuro.

    Un giorno mentre tirava su l’acqua dal pozzo col secchio sentì un rumore. Era il figlio della vicina che di nascosto la stava osservando, impaurita corse verso casa e nella corsa l’acqua si riversò dal secchio, bagnandola tutta.
    Lui era uscì allo scoperto e cominciò a rincorrerla, allora lei gettò via il secchio, raggiunse l’uscio di casa e si chiuse dentro, infilando la spranga di ferro dietro la porta.
    – Bettina aspetta, volevo solo darti le ciliegie. Ne ho raccolto un cesto.
    — Lasciale vicino alla porta e vattene a casa tua!
    — E su, apri!
    —No! Se non te ne vai non apro!
    Rimase dietro la finestra fino a quando non lo vide andare via e aprì la porta solo quando scorse in lontananza sua madre che tornava dal lavoro.
    — Bettina che è successo, il secchio rovesciato, il cestino di ciliegie fuori la porta…
    — Scusa, mamma. È entrato un cane randagio che ringhiava cattivo e io mi sono spaventata e ho lasciato cadere il secchio. Le ciliegie le ha mandate Sara, ma io avevo paura del cane e ho lasciato tutto lì.
    Troppo stanca per mettersi a discutere con la figlia, sospirò e andò a tirar su l’acqua dal pozzo.

    ***

    Era per questo che ora che sua madre era morta aveva pregato la Madonna che trovasse per lei un rifugio sicuro e che non la facesse rimanere in quel luogo che la intimoriva.

    Le candele attorno alla morta si erano quasi spente e la vicina, che si era svegliata, aveva cominciato a recitare il rosario.
    Anche Bettina pregava e si chiedeva perché il mondo così colorato era diventato per lei d’un tratto tutto nero.

    — Ora sei orfana di padre e di madre e non puoi portare quei vestiti festosi, devi vestirti a lutto.

    — Anche se sono una bambina, Sara.

    — Sì — aveva detto la donna con serietà.

    Così tutti gli indumenti compreso i nastri per capelli e l’abito a fiori che Bettina amava tanto erano finiti a bollire in un enorme calderone di acqua bollente dove la donna aveva disciolto una polverina che aveva colorato tututto di nero.
    Asciugato al caldo sole estivo il suo corredo di orfana era pronto.

    Il giorno dopo ci fu il funerale di Elsa e il doloroso distacco della bambina da sua madre. Erano già in chiesa quando nel religioso silenzio della funzione arrivarono gli zii.
    Sandrone, così chiamato perché grande e grosso, col nasone schiacciato e le lunghe gambe che parevano alberi, e Felicita, vestita di scuro, i capelli raccolti, le sopracciglia folte e una peluria scura sul labbro superiore.
    Contriti e pensierosi assistettero al funerale.
    Avevano entrambi un’espressione buffa come due che sono capitati per caso in quel luogo e non sanno cosa dire o fare.
    Lui a testa bassa si guardava le scarpe nere, forse quelle del matrimonio, che fuoriuscivano da un paio di calzoni marrone un po’ corti.
    Lei con le braccia massicce incrociate stava accanto al marito rigida e corrucciata.
    Certo una persona in più in famiglia non era proprio una cosa piacevole, nella loro misera condizione, ma erano gli unici parenti della bambina e lui in qualità di fratello maggiore di Elsa, aveva dovuto assolvere al compito di prendersi cura della bambina.
    Finito l’officio religioso lo zio Sandrone si avvicinò a Bettina e pose le mani rozze, pesanti, una su una spalla e una sull’altra come se volesse confortarla.
    — Non somigli per niente a mia sorella, sei tutta tuo padre — disse con l’aria di chi ha fatto una grande scoperta.
    Stava per dire altro, ma la zia Felicita lo scansò. Si avvicinò alla bambina con quel suo faccione e i baffetti ispidi sul labbro e l’abbracciò stretta, quasi commovendosi.
    —Starai bene con noi. Vedrai. — sussurrò.
    Poi si riprese subito dallo slancio emotivo e guardò suo marito infastidita.

    Erano venuti a prenderla con una moto ape e Bettina, per non stare insieme a quei due che erano per lei quasi degli estranei, li aveva visti solo tre volte in vita sua, chiese agli zii di poter sedere nel rimorchio assieme alla poche cose che le appartenevano e avrebbe portato con sé. Il veicolo procedeva nella campagna traballando sulla strada sconnessa, e a causa dei continui scossoni la ragazzina dovette reggersi al bordo del cassone, per rimanere in equilibrio e non finire lunga distesa. Si allontanavano dalla casa dove era sempre vissuto procedendo verso il paese vicino, a casa degli zii, dove lei non era mai stata e dove avrebbe trovato i suoi due cugini. Intanto si guardava intorno, scoprendo quel bosco che aveva osservato da lontano fino a quel momento, ne vedeva i colori, ne sentiva gli odori.

    Era bello tutto quel verde della campagna, profumava di terra, di sole, di vita, eppure era stato proprio in una giornata luminosa che il cuore di sua madre si era fermato e lei era crollata su quelle zolle di terra dove stava lavorando. Gli occhi di Bettina si riempirono di lacrime, il vento le asciugava e le portava via allontanandole dal suo cuore bambino.
    La strana coppia formata da quelli che erano i suoi zii, discutevano animatamente e specie la donna strillava, inveendo contro il marito in maniera che le parve buffa. Riuscì a sentire solo una frase.
    — Ma hai visto, quanto è magra?

    Parlavano di lei.
    La voce di zia Felicita aveva sovrastato lo scoppiettio del veicolo e le era arrivata distorta.
    E ripensando al loro aspetto pittoresco, le spuntò un sorriso.

    Edited by Esterella - 23/11/2020, 10:10
     
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    CITAZIONE
    Lucciole pietose accendevano il buio, divampando qua e là come spiritelli dispettosi.

    Poverette le lucciole.

    CITAZIONE
    –Domani verranno i tuoi zii a prenderti e andrai a vivere con loro – disse la donna.

    E' l'unico dialogo che hai utilizzato. Vista l'impostazione che hai dato alla fiaba, non è molto funzionale. Un dialogo sta bene in mezzo ad altri dialoghi a mio parere. E' anche vero tuttavia, che il dialogo da più forza, più peso, a questo passaggio cruciale della vita di Bettina.

    CITAZIONE
    La donna accettava con gratitudine i sacrifici della sua bambina, ma con le lacrime agli occhi e il cuore in pena, purtroppo da quando suo marito era morto era stata costretta a lavorare e quella povera creatura aveva dovuto patire insieme a lei. Aveva dovuto lasciare la scuola, troppo lontana dalla loro casa di campagna, prima l’accompagnava il padre, ma ora che lui non c’era più, non poteva mandarla da sola a piedi per chilometri, né poteva permettersi di pagare l’abbonamento dell’autobus. Per questo lavorava febbrilmente da mattina a sera facendo anche doppi turni, da un podere all’altro e da un padrone all’altro. Sperava di poter mettere qualcosa da parte, per poter rimandare la bambina a scuola.

    "Con le lacrime agli occhi e il cuore in pena, la donna accettava con gratitudine i sacrifici della sua bambina. Dalla morte del marito, la giovane madre fu costretta a lavorare e la povera creatura dovette patire la sua assenza. Lavorava febbrilmente da mattina a sera facendo anche doppi turni, da un podere all'altro, da un padrone all'altro. Sperava così di mettere qualcosa da parte per mandare la bambina a scuola. La loro casa di campagna era molto distante e nessuno poteva accompagnarla. Non poteva permettersi l'abbonamento dell'autobus, né poteva far andare la piccola sola, a piedi, per quel lungo tragitto."

    Mi son permesso un editing. In punta di piedi eh.

    CITAZIONE
    Dovendo stare sempre fuori casa, Elsa aveva raccomandato alla sua vicina di tener d’occhio Bettina. La donna aveva accettato con piacere, ma, avendo cinque figli a cui badare, aveva chiesto che la ragazzina andasse a casa sua, nelle ore in cui Elsa era al lavoro nei campi. Bettina era andata dalla vicina una volta sola, dopo di che non aveva voluto più allontanarsi dal suo vecchio casolare e a volte passavano giornate intere senza che la donna, che doveva prendersi cura di lei, avesse la più pallida idea di come trascorresse il suo tempo.

    In questo passaggio utilizzi molto il trapassato prossimo: "aveva raccomandato", "aveva accettato" "aveva chiesto". Secondo me appesantisce. Potresti sostituirlo con il passato remoto.

    Mi hai incuriosito: come trascorreva il tempo Bettina nelle sue giornate di solitudine?

    CITAZIONE
    Aveva paura Bettina, una paura che non capiva, ma che le era apparsa all’improvviso, quando il figlio maggiore della vicina, quattordicenne, l’aveva guardata con un’aria da ebete. La prima volta che era stata a casa loro, a tavola, si era seduto accanto a lei e lo aveva sorpreso a guardarla e ad annusarle i capelli, poi aveva accostato il gomito al suo senza farsene accorgere dalla madre, affaccendata ad allattare l’ultimo nato. Da allora si era rifiutata di andare a casa della vicina e preferiva stare da sola a sbrigare le faccende di casa.

    Un giorno mentre tirava su l’acqua dal pozzo col secchio aveva sentito un rumore. Era il figlio della vicina che di nascosto la stava osservando, impaurita aveva cominciato a correre verso casa e nella corsa l’acqua si era riversata dal secchio, bagnandola tutta.
    Lui era uscito allo scoperto e aveva cominciato a rincorrerla, allora la ragazzina aveva gettato via il secchio e raggiunto l’uscio di casa si era chiusa dentro, infilando la spranga di ferro dietro la porta. Sua madre la sera l’aveva rimproverata per l’acqua caduta. Lei aveva chiesto scusa, tacendo le sue paure, non voleva turbare quella poveretta che tornava a casa stremata di fatica.

    Era per questo che ora che sua madre era morta aveva pregato la Madonna che trovasse per lei un rifugio sicuro e che non la facesse rimanere in quel luogo che la intimoriva.
    Le candele attorno alla morta si erano quasi spente e la vicina, che si era svegliata, aveva cominciato a recitare il rosario.

    Questa è la parte più efficace della tua fiaba. Nel senso della psicologia del personaggio. Bettina rimane traumatizzata dall'approccio dell'arzillo quattordicenne figlio della vicina, ambizioso e guardone. Ne consegue un altro valido motivo per allontanarsi da quella casa e cercare un rifugio sicuro. E' in atto un profondo cambiamento nella vita di Bettina, piccola, orfana e innocente. Eventi che lasciano il segno nella protagonista e che penso ritroveremo nel prosieguo.

    CITAZIONE
    Era per questo che ora che sua madre era morta aveva pregato la Madonna che trovasse per lei un rifugio sicuro e che non la facesse rimanere in quel luogo che la intimoriva.
    Le candele attorno alla morta si erano quasi spente e la vicina, che si era svegliata, aveva cominciato a recitare il rosario.

    "Per questo motivo, morta sua madre, Bettina aveva pregato la Madonna affinché trovasse per lei un rifugio sicuro, lontano da quel luogo che la intimoriva. Le candele attorno alla defunta erano quasi spente e la vicina, appena ripresasi dal suo assopimento, iniziò a recitare il rosario."

    (:

    La vita che aspetta Bettina non sembra possa diventare, da come descrivi gli zii, spensierata e felice come dovrebbe esserlo per una bambina. Insomma, le premesse non erano buone. Nel finale però cambi le carte in tavola: quegli zii sconosciuti non sono poi così estranei e il luogo dove abitano è la natura che Bettina non ha mai visto.

    Mi scuso se ti ho fatto un po' di pulci. Mi sto allenando per bicipit dove spero di leggerti. ;P

    Attendo dunque il seguito della storia di Bettina con curiosità.

    Grazie
     
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    CITAZIONE (Molli Redigano @ 22/11/2020, 12:33) 
    CITAZIONE
    Lucciole pietose accendevano il buio, divampando qua e là come spiritelli dispettosi.

    Poverette le lucciole.

    CITAZIONE
    –Domani verranno i tuoi zii a prenderti e andrai a vivere con loro – disse la donna.

    E' l'unico dialogo che hai utilizzato. Vista l'impostazione che hai dato alla fiaba, non è molto funzionale. Un dialogo sta bene in mezzo ad altri dialoghi a mio parere. E' anche vero tuttavia, che il dialogo da più forza, più peso, a questo passaggio cruciale della vita di Bettina.

    CITAZIONE
    La donna accettava con gratitudine i sacrifici della sua bambina, ma con le lacrime agli occhi e il cuore in pena, purtroppo da quando suo marito era morto era stata costretta a lavorare e quella povera creatura aveva dovuto patire insieme a lei. Aveva dovuto lasciare la scuola, troppo lontana dalla loro casa di campagna, prima l’accompagnava il padre, ma ora che lui non c’era più, non poteva mandarla da sola a piedi per chilometri, né poteva permettersi di pagare l’abbonamento dell’autobus. Per questo lavorava febbrilmente da mattina a sera facendo anche doppi turni, da un podere all’altro e da un padrone all’altro. Sperava di poter mettere qualcosa da parte, per poter rimandare la bambina a scuola.

    "Con le lacrime agli occhi e il cuore in pena, la donna accettava con gratitudine i sacrifici della sua bambina. Dalla morte del marito, la giovane madre fu costretta a lavorare e la povera creatura dovette patire la sua assenza. Lavorava febbrilmente da mattina a sera facendo anche doppi turni, da un podere all'altro, da un padrone all'altro. Sperava così di mettere qualcosa da parte per mandare la bambina a scuola. La loro casa di campagna era molto distante e nessuno poteva accompagnarla. Non poteva permettersi l'abbonamento dell'autobus, né poteva far andare la piccola sola, a piedi, per quel lungo tragitto."

    Mi son permesso un editing. In punta di piedi eh.

    CITAZIONE
    Dovendo stare sempre fuori casa, Elsa aveva raccomandato alla sua vicina di tener d’occhio Bettina. La donna aveva accettato con piacere, ma, avendo cinque figli a cui badare, aveva chiesto che la ragazzina andasse a casa sua, nelle ore in cui Elsa era al lavoro nei campi. Bettina era andata dalla vicina una volta sola, dopo di che non aveva voluto più allontanarsi dal suo vecchio casolare e a volte passavano giornate intere senza che la donna, che doveva prendersi cura di lei, avesse la più pallida idea di come trascorresse il suo tempo.

    In questo passaggio utilizzi molto il trapassato prossimo: "aveva raccomandato", "aveva accettato" "aveva chiesto". Secondo me appesantisce. Potresti sostituirlo con il passato remoto.

    Mi hai incuriosito: come trascorreva il tempo Bettina nelle sue giornate di solitudine?

    CITAZIONE
    Aveva paura Bettina, una paura che non capiva, ma che le era apparsa all’improvviso, quando il figlio maggiore della vicina, quattordicenne, l’aveva guardata con un’aria da ebete. La prima volta che era stata a casa loro, a tavola, si era seduto accanto a lei e lo aveva sorpreso a guardarla e ad annusarle i capelli, poi aveva accostato il gomito al suo senza farsene accorgere dalla madre, affaccendata ad allattare l’ultimo nato. Da allora si era rifiutata di andare a casa della vicina e preferiva stare da sola a sbrigare le faccende di casa.

    Un giorno mentre tirava su l’acqua dal pozzo col secchio aveva sentito un rumore. Era il figlio della vicina che di nascosto la stava osservando, impaurita aveva cominciato a correre verso casa e nella corsa l’acqua si era riversata dal secchio, bagnandola tutta.
    Lui era uscito allo scoperto e aveva cominciato a rincorrerla, allora la ragazzina aveva gettato via il secchio e raggiunto l’uscio di casa si era chiusa dentro, infilando la spranga di ferro dietro la porta. Sua madre la sera l’aveva rimproverata per l’acqua caduta. Lei aveva chiesto scusa, tacendo le sue paure, non voleva turbare quella poveretta che tornava a casa stremata di fatica.

    Era per questo che ora che sua madre era morta aveva pregato la Madonna che trovasse per lei un rifugio sicuro e che non la facesse rimanere in quel luogo che la intimoriva.
    Le candele attorno alla morta si erano quasi spente e la vicina, che si era svegliata, aveva cominciato a recitare il rosario.

    Questa è la parte più efficace della tua fiaba. Nel senso della psicologia del personaggio. Bettina rimane traumatizzata dall'approccio dell'arzillo quattordicenne figlio della vicina, ambizioso e guardone. Ne consegue un altro valido motivo per allontanarsi da quella casa e cercare un rifugio sicuro. E' in atto un profondo cambiamento nella vita di Bettina, piccola, orfana e innocente. Eventi che lasciano il segno nella protagonista e che penso ritroveremo nel prosieguo.

    CITAZIONE
    Era per questo che ora che sua madre era morta aveva pregato la Madonna che trovasse per lei un rifugio sicuro e che non la facesse rimanere in quel luogo che la intimoriva.
    Le candele attorno alla morta si erano quasi spente e la vicina, che si era svegliata, aveva cominciato a recitare il rosario.

    "Per questo motivo, morta sua madre, Bettina aveva pregato la Madonna affinché trovasse per lei un rifugio sicuro, lontano da quel luogo che la intimoriva. Le candele attorno alla defunta erano quasi spente e la vicina, appena ripresasi dal suo assopimento, iniziò a recitare il rosario."

    (:

    La vita che aspetta Bettina non sembra possa diventare, da come descrivi gli zii, spensierata e felice come dovrebbe esserlo per una bambina. Insomma, le premesse non erano buone. Nel finale però cambi le carte in tavola: quegli zii sconosciuti non sono poi così estranei e il luogo dove abitano è la natura che Bettina non ha mai visto.

    Mi scuso se ti ho fatto un po' di pulci. Mi sto allenando per bicipit dove spero di leggerti. ;P

    Attendo dunque il seguito della storia di Bettina con curiosità.

    Grazie

    FELICISSIMA, Molli, di questo tuo intervento. In realtà è una storia che ha bisogno ancora di molta ossatura . Un racconto favolistico, se così si può definire, scritto per ragazzi dagli otto anni in su.

    Un attimo dopo averlo postato ho notato l'assenza di dialoghi. Questa doveva essere la parte introduttiva, ma poi si è allungata e quindi ha bisogno di più dialoghi e più caratterizzazione dei personaggi.
    Gli zii sono due ignorantoni, rudi, che non le renderanno la vita facile tanto che lei scappa e qui comincia di nuovo la sua ricerca di un luogo sicuro e lo trova in modo inatteso e un po' fantasioso

    Grazie per le tue osservazioni di cui farò tesoro. Un abbraccio. :pazzo.gif:
     
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    Riveduto aggiungendo dialoghi , correggendo i tempi verbali e le caratterizzazioni seguendo i consigli di Molli, spero di averlo migliorato. :noviolence.gif:
     
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