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La vita è fatta di piccole felicità insignificanti, simili a minuscoli fiori. Non è fatta solo di grandi cose, come lo studio, l’amore, i matrimoni, i funerali. Ogni giorno succedono piccole cose, tante da non riuscire a tenerle a mente né a contarle, e tra di esse si nascondono granelli di una felicità appena percepibile, che l’anima respira e grazie alla quale vive. Uno di questi granelli di felicità fu donato a Mauro il giorno in cui, trovandosi in seria difficoltà nella sua vita lavorativa e non ricevendo alcun aiuto da parte dei superiori e dei colleghi, decise di adottare un provvedimento che, infrangendo regole di prassi aziendale, non scritte ma consolidate, fece venire alla luce carenze che, una volta colmate, migliorarono alcuni aspetti gestionali dell’azienda. Correva l’anno 1963 e Mauro ricopriva la carica di direttore amministrativo di una media impresa industriale che produceva beni strumentali. Tra i clienti dell’azienda figuravano importanti complessi industriali produttori di macchinari e impianti. A quei tempi il metodo di pagamento largamente usato dai clienti dell’azienda era la cambiale. La cambiale, detta anche pagherò, è un titolo di credito col quale un debitore si impegna a pagare al creditore un determinato importo a una determinata scadenza. Perché la cambiale sia perfezionata e diventi esecutiva, cioè esigibile alla sua scadenza, deve osservare precisi requisiti formali, tra i quali figura la firma del debitore a conferma e accettazione del debito. La cambiale così perfezionata si dice ‘accettata’ e, in caso di necessità, può essere ‘scontata’, cioè ceduta a una banca la quale, previa la trattenuta di una commissione, la converte in denaro contante, anticipando al beneficiario il controvalore. All’epoca molti clienti dell’azienda, di vecchia data e di provata affidabilità, erano soliti effettuare i loro pagamenti per mezzo di cambiali cosiddette ‘autorizzate’, cioè cambiali emesse dal creditore su autorizzazione del debitore, ma mancanti della firma di accettazione da parte del debitore stesso. I suddetti titoli, purché la loro scadenza non superasse i sei mesi, venivano normalmente scontati dalle banche, dato il massimo affidamento di cui godevano i nominativi dei debitori. Il ventiquattro settembre era un martedì e si approssimava la data in cui si sarebbero dovute pagare le retribuzioni, da sempre inderogabilmente il giorno ventisette, cioè il venerdì successivo, e l’amministrazione non disponeva dei circa cento milioni occorrenti. Tutti gli affidamenti utilizzabili e lo sconto delle cambiali in portafoglio non erano sufficienti a raggiungere quella cifra. In portafoglio c’erano cambiali, per un importo largamente superiore all’occorrente, ‘autorizzate’ dal principale cliente dell’azienda ma, poiché avevano scadenze superiori a sei mesi, nessuna banca era disposta a scontarle. Che fare? Non pagare gli stipendi era impensabile per due motivi: - la mancata puntualità nel pagamento delle retribuzioni sarebbe stato considerato, da parte delle banche, indice di poca affidabilità in vista di futuri affidamenti; - non era mai accaduto che l’impresa, alla data stabilita, avesse disatteso il pagamento delle retribuzioni. Non avendo altra soluzione Mauro chiese al presidente di avvertire i soci che si rendeva necessario un loro apporto temporaneo per la somma occorrente, ma il presidente si rifiutò di intervenire e indirizzò Mauro alla direzione commerciale asserendo che la stessa, oltre che vendere, doveva saper incassare. Mauro si rivolse quindi al direttore commerciale, ma questi gli fece presente che, dati i tempi ristretti, era impensabile di intervenire presso il cliente per chiedergli di accettare le cambiali, che peraltro erano conformi a quanto pattuito. Mauro si era ritrovato così la patata bollente in mano con l’obbligo di dovere, in qualche modo, venirne a capo. Intanto il tempo passava. Mercoledì Mauro non era ancora riuscito a trovare una soluzione. Nel frattempo la notizia, attraverso radiofante, aveva cominciato a fare il giro dell’officina e degli uffici. Proprio quella mattina il responsabile delle relazioni industriali era andato da Mauro per chiedergli se le voci che giravano avessero qualche fondamento e lui aveva dovuto dargliene conferma, promettendo comunque, per tranquillizzarlo, che in un modo o nell’altro avrebbe trovato una soluzione. Il pomeriggio dello stesso giorno il capo della commissione interna aveva voluto avere, dal responsabile delle relazioni industriali, notizie in merito al pagamento delle retribuzioni, lasciando intendere che, nel caso ci fosse stato un ritardo, le maestranze avrebbero indetto uno sciopero, evento inaudito di cui non si aveva memoria nella storia dell’azienda. La situazione era disperata e Mauro, nonostante si scervellasse, non era ancora riuscito a trovare una soluzione. Fu a quel punto che si ricordò di avere a suo tempo studiato che una cambiale ‘autorizzata’, ma non ancora ‘accettata’, poteva essere fatta accettare tramite un pubblico ufficiale, purché non riportasse la clausola ‘senza spese’. Constatato che le cambiali ‘autorizzate’ presenti in portafoglio non avevano la clausola in questione, il giovedì mattina Mauro diede incarico a un notaio di farle accettare. Dati i tempi ristretti non gli venne in mente di avvertire preventivamente, né il cliente, né il direttore commerciale, tanto, pensò, se il cliente le aveva autorizzate, poco cambiava se anche gli si chiedeva di accettarle. Le cambiali furono così ‘accettate’ e, una volta portate allo sconto, fornirono a Mauro il denaro occorrente per pagare le retribuzioni. Convinto che il caso fosse ormai chiuso, Mauro si disse ‘Tutto è bene quel che finisce bene’ e si godette un felice fine settimana. Ma aveva fatto male i calcoli! Il lunedì successivo scoppiò un putiferio. Il cliente, offeso, telefonò adirato al direttore commerciale dichiarando che non avrebbe mai più acquistato dall’azienda, asserendo che non gli era mai capitato che qualcuno gli avesse chiesto di firmare una cambiale, perché era sempre bastata la sua semplice autorizzazione. Il direttore commerciale informò dell’accaduto il presidente accusando la direzione amministrativa, cioè Mauro, di aver causato, per superficialità e incompetenza, la perdita del cliente più importante. A quel punto Mauro fu convocato dal presidente al quale espose la sua versione dei fatti: - aveva chiesto al presidente di intervenire presso i soci per un apporto temporaneo, ma gli era stato negato; - si era rivolto al direttore commerciale affinché ottenesse dal cliente la firma di accettazione delle cambiali, che gli avrebbe consentito di anticipare gli incassi, ma gli era stato risposto picche; - le cambiali in portafoglio, sebbene autorizzate dal cliente, non erano scontabili in banca perché avevano scadenze superiori a sei mesi; - il cliente, autorizzando le cambiali, aveva omesso di apporre la clausola ‘senza spese’, consentendo così di chiedergli la loro accettazione; - incombeva la necessità di pagare le retribuzioni, pena la perdita di credibilità presso le banche e la concreta possibilità di uno sciopero da parte delle maestranze; dopodiché si rimise al giudizio del presidente, rassegnato a ricevere un provvedimento che poteva spaziare dal rimprovero solenne al licenziamento. Per sua fortuna non fu preso, nei suoi confronti, alcun provvedimento, ma l’episodio fece molto scalpore e fece capire a tutti che vendere era sì importante, ma occorreva anche interessarsi delle modalità di pagamento accordate al cliente e delle loro possibili conseguenze. Anche il cliente, dopo aver ricevuto le dovute scuse, recedette dai suoi propositi e continuò a effettuare i suoi acquisti dall’azienda. Le cambiali autorizzate continuarono a essere un mezzo di pagamento molto usato, ma da quel momento, onde evitare ulteriori spiacevoli episodi, fu imposto a tutti l’onere di evidenziare su di esse la dicitura ‘senza spese’. Alla fine Mauro si disse che forse non era così che dovevano andare le cose. Ma così stavano. “Nel complesso”, rifletté, “sarebbero potute andare decisamente peggio”
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