Dalla Sicilia

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    Penna suprema

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    Dalla Sicilia

    Con il sudore che luccica ci appoggiamo alla ringhiera degli spogliatoi per fare stretching.
    Una gamba dietro, l’altra piegata, raccolta davanti.Le mani strette sul ferro, spingono senza direzione precisa.
    - Mi sono sporcato con il cappuccino.
    - Dove?
    - Sulla mano destra.
    - To', tu hai bevuto il caffè, e quelle sono macchie di vecchiaia, macchiette, dai.
    - Non le ho mai avute prima.
    - Quelle non si hanno prima.
    Lo dice bisbigliando Franco, lo dice così.
    Il bisbiglio non è soffice è brutale, lo scambio domanda - risposta è brutale.
    Arrivo a spiegargli quanto sono infelice per quella citazione solo dopo minuti.
    Franco mi afferra per un braccio, proprio quello destro, quello sporcato di vecchiaia.
    - Finiscila To', è un fenomeno naturale, fisiologico.Te li sei guadagnati i tuoi anni e quelle macchiette di cappuccino sono solo la ricevuta.
    Non ho alternative, seppellisco la mano destra macchiata nella tasca della tuta.
    L’arrivo di Annibale annulla il mio vago sentore di dolore. Lo saluto con il pollice sinistro al cielo.
    La mia bolla sta per scoppiare, non potrò tenere la mano destra in tasca a vita.
    Mi ritrovo a valutare l’ipotesi di tornare a casa In Metro, quelli in Metro hanno spesso la mano in tasca per timore del furto.
    In automobile no, lì dovrei tenere tutte e due le mani sul volante.
    E se me la vede qualcuno la mano vecchia?
    Sono sconfortato, che problema l'occhiataccia di una promoter di se stessa in tuta color tangenziale è un file temporaneo,
    poi sparisce, l’occhiataccia, non lei.
    Tiro indietro la mascella scoprendo i denti, non conoscevo questa smorfia prima.
    La promoter profuma di zigulì fresco masticato.
    Ha la bocca piccola, il naso minuto, occhi neri, due fossette profonde come spari di fucile e un’aria da fumetto.
    Grasso di colazioni al Bar, zannuto, Franco le chiede : -SI –CORRE- QUI - LA RACE?
    La promoter punta i suoi occhi neri, radiosi. Non risponde, la domanda è troppo stupida.
    E’ come chiedere al casellante è qui l’autostrada? Al bagnino è qui il mare? Un semi disastro quella domanda.
    Lei prende le spoglie di una silenziosa emmetrope che valuta bene la situazione.
    Franco imperturbabile fa un bis : - la RACE?
    - Ma chi volete prendere per i fondelli??..
    - Non vedete quante DONNE ?
    - E chiedete dov’è la gara?
    Interviene il Tom che è in me, quello sgargiante di fantasia, fratello maggiore di quello rincoglionito di sonno:
    - Noi non siamo romani, ci scusi.
    - E da dove venite?..da Marte? ..c’è vita lì ?..canta Bowie.
    - O vi aggirate su motorette geriatriche sui montarozzi e basta?
    - Tumuli si dice, scusate, non montarozzi, voi non siete romani, dimenticavo.
    Imploro un gioco di prestigio che mi faccia sparire, l’ho sparata grossa e me ne rendo conto.
    L’erba sotto il mio piede ingiallisce, sono fermo da minuti.
    Ogni tanto qualcuno dovrebbe poggiarmi il dito sulle labbra per intimarmi il silenzio.
    Non mi viene in mente una città decente da citare, né una regione.
    Osservo qualche targa d’auto dall’altra parte dell’impianto in cerca d’ispirazione.
    C’è una Corvette celeste CB2347, un furgone Ama BE7575, una vespa con sidecar ZZ9898, un pullman in avaria e nessun’ altra informazione.
    Da uno degli stand del villaggio esce una testa pelata con le gambe storte come Montalbano. Immediata arriva l’ispirazione.
    - Dalla Sicilia, veniamo dalla Sicilia.
    - E’ stato complicato raggiungervi data la penuria di segnali, per fortuna abbiamo una Corvette celeste e abbiamo fatto in tempo.
    - Non si sente il vostro accento siciliano.
    - Bè gli studi, tutti romani, hanno imbastardito la dizione.
    ( la mano destra continua ad essere blindata in tasca)
    - Ma che carini, e avete studiato all’università della terza età?
    - Archeologia alla Sapienza, siamo fuori corso, un tantino fuori corso.
    - E pure fuori di testa, mi sa.
    Ride, è la prima volta che lo fa.
    Se si accorge dell’inganno ci sputa in faccia , penso. O già s’è accorta?
    Franco con la faccia nuova da archeologo e un cappello a becco d’anatra tocca una pietra inutile cotta dal sole,
    scatta qualche foto con il telefonino e dice: Bello qui.
    - Bello sì: aggiungo io: lo sport incastonato nei monumenti.
    Lo dico con una voce roca da intenditore che sorprende anche me.
    La ragazza ci prende a randellate con lo sguardo, è troppo sottile per non aver intuiro la nostra pantomina.
    E’ il nostro nuovo organo, su questo non ci piove, si sente da come le batte forte il cuore per quest’amicizia istantanea.
    - Conoscete il valore di questa gara, il suo fine alto, il suo significato?
    - Siamo qui apposta.
    Lo dico con un leggero difetto alla palpebra sinistra rimasta chiusa per il sole e l’alito che sa di cocacola, dolce.
    Frequento l’impianto da più di vent’anni e in questo posto mi sento invulnerabile, o quasi.
    Franco imitando chi ha vinto un premio culinario, senza poter assaggiar nulla, sta zitto per dispetto.
    - Con chi correte?
    Sto per rispondere con chi capita se carina.
    Anticipo la mia idiozia con un’altra idiozia: - Fiamme Gialle.
    - Ma veramente?
    - Veramente si, siamo poliziotti archeologi (sento un gorgoglio nel colon) .
    - Fiamme Gialle è il gruppo della Finanza, cosa c’entrate voi?
    Sto accumulando gaffe per riempire l’album a punti e perdere qualcosa, più di qualcosa, lei è un incanto.
    - Dai, correvamo con le Fiamme Oro poi siamo passati alle Gialle per modestia nel colore.
    - Voi raccontate un sacco di scemate secondo me.
    Ride stropicciato, ma ride.
    - Vieni a vedere come corriamo, altro che scemate.
    - Anche se non siamo al massimo della forma nei primi dieci ci entriamo.
    - Nei primi diecimila?
    Ride, ride arancione, di rossetto arancione, poi si tocca i capelli crespi, neri e crespi.
    - Che non siete al massimo lo vedo dalle trippe, e quando sarete al massimo farete il record del mondo? O solo quello nazionale?
    - Malfidata, aspetta la partenza e poi vedrai.
    - Vedrò si, correrò anch’io, non si nota il colore della maglietta?
    Si toglie la tuta e appare una maglietta rosa.
    - Ora che la vedo mi accorgo che sono in tante ad averla, tutte della stessa squadra?
    - Siete divertenti, ma si possono uccidere pure gli uomini divertenti, cazzo, lo sapete?
    Franco sgrassa gli occhiali da vista con il risvolto della tuta.
    Io prendo tempo a modo mio disturbando con il tallone un formicaio senza formiche.
    - Avete mai sentito dire di donne operate al seno?
    - E non per bellezza, per vivere, anzi per sopravvivere.
    - Avete mai sentito parlare di cicli di chemio rossa?
    - Quella che fa fare una divertente pipì color Aperol e meno divertenti nausee costanti che ti costringono a tenere sempre
    qualche cracker in tasca per non vomitare acido e un water a portata di mano per non vomitare per strada.
    - Quella che ti fa pesare il cucchiaio della minestra e dire, non mangio, non mi va, e non mangi perché non ce la fai a sollevare quel cucchiaio.
    - Quella che ti profuma la cucina di caffè sputato.
    - Avete mai fatto un anno di Herceptin?
    - Avete mai sentito parlare di dissezione ascellare?
    - Ho perso un seno, ho un buco qui, ci potete mettere dentro un melone, un melone francesino da un chilo.
    Le scende una lacrima, mai vista così grande, l’asciugo con una carezza, anzi due.
    - Mi chiama l’ospedale pochi giorni fa, signorina le facciamo la ricostruzione.
    - La ricostruzione?.sono mica ground zero.
    - Ma è per la sua femminilità.
    - Non mi interessa, grazie, e ho attaccato.
    - Chi devo far divertire con la mia femminilità?
    - Chi?
    - Quello con cui stavo insieme viene a trovarmi in ospedale, con una faccia da nerd, mettetela voi la emme, con il casco in mano.
    Dopo cinque minuti dice: DEVO ANDARE.
    - Mi stavo per rialzare e lui mi fa cadere e la caduta mi cade dentro, mi fa un fosso nella pancia,
    dove gli altri sentono le farfalle io sentivo un fosso.
    - Ero stata ore sveglia con l’ago della flebo e qualcosa iniettato dall’alto per compagnia,
    perché il tempo passato a dormire sarebbe stato tempo senza pensare a lui.
    - Ma me lo merito?
    - La mia femminilità, ma per favore.
    - Il mio corpo è uscito da un fax, si è scolorito un seno, cosa ci posso fare?
    - Ho una rabbia, ha detto 'Devo Andare', il verme.
    - Avete mai pregato in tutte le Chiesette possibili?
    - Anzi, Chiese, non Chiesette, il dolore è così grande che nelle Chiesette non c’entra.
    - Non c’entra, cavolo.
    Zitti. Siamo due uomini in cenere. Zitti.
    Franco potrebbe entrare in una scatola di Mac Donald, una da Hppy Meal.
    Io in un pacchetto di light, da dieci.
    La sua verità pura e semplice è lì, a venti centimetri, trenta, forse. Una verità penosamente toccabile.
    Ci salva lei.
    E’ buona.
    La vita è stata così cattiva con lei, e lei è buona.
    - Coraggio eroi, coraggio. La corriamo insieme questa RACE, se vi va.
    - La vostra pelle flaccida fa tenerezza,
    - Il vostro cervello flaccido fa tenerezza,
    - Il vostro ardire flaccido fa tenerezza.
    Franco ha lo sguardo vuoto, assente, di chi fa pipì.
    Io di chi si è cacato sotto, e ho voglia di esprimere un desiderio, anzi una preghiera, ma ho paura di dire quale per timore che non si avveri.
    - Sapete cosa mi scoccia di più?
    - Mi scoccia quell’esercito mimetizzato dentro di me che può colpirmi da ogni angolazione, senza nemmeno il tempo di scavarmi una trincea.
    - Ho un circo dentro.
    - Uno zoo dentro di me.
    - Una pet therapy inversa.
    - Una pet che invece di sollevare, deprime.
    - Le scimmie dentro.
    Ride.
    I nostri occhi sono in asse con i suoi, messi in bolla da un’attenzione scientifica per il suo racconto sbattiamo le palpebre ogni volta che le sbatte lei.
    Siamo noi due la sua platea e a essere onesto, scapperei via, questo sì.
    Franco è parcheggiato in doppia fila, talmente vicino a me che non riesco a togliere la mano dalla tasca, sento il rumore della sua stoffa in microfibra.
    - Mi mancano tre, due risposte, poi vi faccio vedere io,
    - Vi faccio vedere io.
    - Io sono quella che sono, non quello che ho dentro.
    - Io non sono la malattia.
    - IO_NON_SONO_LA_MALATTIA!
    - Porca puttana.
    - Voglio tornare a vivere, sono due anni di questa storia, due lunghi anni. - Vedete questa pista, ecco le mie speranze erano piatte come questa pista,
    ora non più.
    - Potevo contare i miei capelli, - potevo contare le mie cellule morte, - ora non più.
    - Ora sto meglio, vado pure in palestra, cosa credete.
    Toglie il fermaglio dai capelli.
    -Vedete come sono cresciuti. - Guardate che attaccatura.
    - Voglio correre così oggi, con i capelli sciolti, in libertà.
    Franco mastica un pezzettino di niente.
    - Tu hai la barba soffice To'.
    Me l’accarezza, con l’altra mano mi scompiglia la frangetta.
    - Ne hai pochi pure tu, sei vecchietto. Ride.
    A Franco toglie gli occhiali e fa finta di scappare in tondo, a vanvera, senza ambizioni geometriche, come corrono i bambini.
    La nostra amicizia è vitale per lei e viceversa, non si discute. In questo istante siamo il suo mondo e lei il nostro.
    - Questa sera vi va di portarmi al ristorante??
    - Una pizza, si, una bella pizza alta con il cornicione, ci vuole.
    Le prime parole di Franco sono essenziali, ridotte all’osso dell’entusiasmo.
    - Voglio il ristorante!-antipasto-primo-secondo-dolce-caffè-ammazzacaffè
    - E voglio lo chef carino, anzi proprio bello, non la pizzeria.
    - Voglio tutto.
    Scarabocchio il menù con una bic virtuale e con voce da cameriere aggiungo: va bene.
    - Voglio ballare, voglio musica, tanta musica e voglio bere roba forte, con ghiaccio.
    -Voglio battere tutti al semaforo con una macchina veloce.- Voi avete una Corvette celeste, vero?
    - Per ora abbiamo solo il semaforo e un’Ibiza non celeste.
    Ride.
    - A che ora si parte?
    Lo chiedo senza convinzione.
    - Alle 10 campioni, c’è tempo, rilassatevi.
    Riesco a mandare giù la prima saliva quella che sembrava futuristica. Franco si toglie un pelino dalla maglietta, ammesso che quel pelino esista.
    La ragazza è diventata un taglio e noi ci siamo dentro a quel taglio, senza essere insanguinati.
    Volevo dire una ferita complessa.
    Poi qualcosa accade, la baracca si stringe, e abbiamo tutto davanti al nostro naso.
    Allarga le braccia, ci tira per il collo e stringe forte i nostri zigomi accanto al suo bel mento sodo.
    Il braccio destro è più rigido, stringe meno, si muove lentamente come sott’acqua.
    Ha anelli multipli alle dita e un braccialetto di corda che sembra fatto da un bimbo.
    - Ce la facciamo una foto così?? - Dai…!! - La voglio.
    Quel nano di fotografo non c’è mai quando lo cerchi.
    L’abbraccio a tre, mai visto, mai venuto così bene, neppure nelle prove mentali.
    Non si scioglie.
    Più.
     
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