Spiegone sì o spiegone no?

Codesto è il dilemma

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    Faccio solo un breve intervento, giusto per dovere di chiarezza.
    Tas è un concorso per trilogia, renderlo anonimo sarebbe stato piuttosto ridicolo visto che dopo il primo step gli autori si sarebbero palesati.
    Gli altri concorsi resteranno tendenzialmente anonimi proprio perché nel sondaggio non c'è stata una vittoria schiacciante della fazione no anonimato.
     
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    CITAZIONE (B&S @ 4/8/2020, 14:29) 
    Faccio solo un breve intervento, giusto per dovere di chiarezza.
    Tas è un concorso per trilogia, renderlo anonimo sarebbe stato piuttosto ridicolo visto che dopo il primo step gli autori si sarebbero palesati.
    Gli altri concorsi resteranno tendenzialmente anonimi proprio perché nel sondaggio non c'è stata una vittoria schiacciante della fazione no anonimato.

    Ecco, bom mi sarei risparmiato un commento, ma almeno quoto Ele nell'osservazione più ovvia che si possa fare, talmente ovvia che sfugge a tutti come una falena gigante a un cacciatore di farfalle. E se qualcuno pensa "ma potevamo tenere l'anonimato per tutti e tre gli step" smetta di pensarlo, che già è un delirio così e non abbiamo voglia di creare precedenti del minchia.
    Il sondaggio era per rispondere proprio a voi, partecipanti ai concorsi da sempre divisi fra l'anonimato (e i conseguenti commenti camuffati o addirittura fatti scrivere a terzi per rispondere a chi si era permesso di dire che il vostro racconto faceva pietà) e l'autore palesato che può difendersi da solo ma deve trattenersi dal mandare a quel paese chi ha osato dire che il suo racconto faceva pietà, perché puoi rispondere al commento ma non toccare il diritto di espressione degli altri.
    La verità è che l'onestà è bella e che l'anonimato è bello ma anche l'autore scoperto è bello, se prendiamo lodi e complimenti. Se prendiamo critiche fa tutto cagare, in maniera schifosamente soggettiva ed egoistica.
    Se riconosciamo il valore della critica a livello di crescita, cosa ci frega se il nostro racconto è anonimo o meno?
    Se crediamo che il commento di Petunia al racconto di Tommasino sarebbe diverso in caso di anonimato allora siamo in malafede. Noi, non Petunia.
    Io potrei riconoscere un racconto di Tommasino al primo rigo, così come uno Asbottino o di Akimizu o di Ele o di quasi tutti voi, e dopo un po' di frequentazione ai concorsi ci riesce chiunque davvero si impegni a leggere quello che si trova davanti.
    TAS è un concorso aperto ad autori rivelati perché renderli anonimi sarebbe stato stupido.
    Ed ad autori rivelati, nello step decisivo, Asbottino ha votato al primo posto Akimizu, sapendo che era un suo diretto concorrente al primo posto.
    E anche Akimizu ha votato asbottino, sapendo che ogni singolo punto poteva farlo vincere.
    Queste sono le cose belle, oneste, che ci piacciono. Quando smetteremo di credere in queste cose allora smetterà di esistere questo forum.
    Il prossimo concorso, anonimo o no? Quien sabe, se ce ne saranno lo decideremo al momento, con ormai quasi dieci anni di esperienza e sbagli sulle spalle a livello statistico sapremo fare la scelta giusta.
    Per adesso completiamo TAS con lo step che potrebbe regalare sviluppi inaspettati, o che potrebbe non regalare nulla.
    Dipende da voi scrittori, da cosa ci regalerete alla fine.
    Addios.
     
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    CITAZIONE (B&S @ 4/8/2020, 14:29) 
    Faccio solo un breve intervento, giusto per dovere di chiarezza.
    Tas è un concorso per trilogia, renderlo anonimo sarebbe stato piuttosto ridicolo visto che dopo il primo step gli autori si sarebbero palesati.
    Gli altri concorsi resteranno tendenzialmente anonimi proprio perché nel sondaggio non c'è stata una vittoria schiacciante della fazione no anonimato.

    Sul caso specifico questa nota chiude la discussione e il non averci pensato prima della precisazione fa scendere di molto la mia autostima. Continua la disputa sulle partite "one shot"... mf_swordfight
     
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    Faccio solo un breve intervento, giusto per dovere di chiarezza.
    Tas è un concorso per trilogia, renderlo anonimo sarebbe stato piuttosto ridicolo visto che dopo il primo step gli autori si sarebbero palesati.
    Gli altri concorsi resteranno tendenzialmente anonimi proprio perché nel sondaggio non c'è stata una vittoria schiacciante della fazione no anonimato.

    Beh, bastava non pubblicare la classifica parziale dopo il primo step e farlo all'ultimo. Non conoscere la propria posizione avrebbe permesso peraltro a ciascun concorrente di crederci di più fino all'ultimo e quindi di impegnarsi maggiormente e in questo modo magari di cambiare le carte in tavola. Mia opinione, sia chiaro.
    CITAZIONE
    Se riconosciamo il valore della critica a livello di crescita, cosa ci frega se il nostro racconto è anonimo o meno?
    Se crediamo che il commento di Petunia al racconto di Tommasino sarebbe diverso in caso di anonimato allora siamo in malafede. Noi, non Petunia.

    Scusa, ma questa volta dissento. Come avevo postato in precedenza, a mio parere più che l'anonimato dell'autore, il problema sono i commenti.
    Se io leggo venti commenti negativi a un'opera è logico che questi influenzino le mie decisioni. Quello delle recensioni positive o negative è un meccanismo ben collaudato, e funziona a livello di selezione, soprattutto in rete, inutile nascondersi dietro un dito.
    L'altra sera, dopo aver letto peste e corna di un ristorante palestinese su T... mia moglie mi aveva diffidato dall'andarci. Una volta tanto mi sono impuntato (dato che conosco il proprietario, arabo e comunista, e la sua serietà) e abbiamo mangiato benissimo. E pertanto forse le cattive recensioni non erano dovute alla bontà o meno della cucina, ma al suo essere arabo e comunista.
    Ciò che la gente dice e pensa ci influenza in modo positivo o negativo. Forse si dovrebbe oscurarli i commenti e magari aprire dopo un forum per discutere degli stessi. La risposta alle altrui osservazioni richiede poi uno sforzo che forse potrebbe essere indirizzato in attività più proficue per il forum, come questa discussione, ad esempio.
    Mia opinione, sia chiaro. Buona serata a tutti.
     
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    Io ho parlato dell'eterna e inutile disputa sull'anonimato nei concorsi o meno, non dell'influenza che i commenti precedenti hanno sul nostro né sul potere distruttivo delle recensioni (faccio ristorazione e nessuno meglio di me può saperlo).
    Io leggo un racconto e scrivo il commento, se ho voglia di farlo, quello che hanno scritto gli altri non mi interessa ai fini della valutazione di un testo ma potrei anche sbagliare a capire un racconto che toh, un commento di tommasino mi illumina sul fatto che Sally è un cane e non una donna e che quindi la frase 'ciuccia sto salsicciotto' non è volgare, non è sessista ma è addirittura affettuosa.
    Lasciare che la mia opinione venga influenzata da quella altrui fa di me un pessimo lettore.
    A mio parere.
     
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  6. Vlad
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    E qui (lettore attento/influenzabile ) entriamo in un campo diverso.
    Ma io, perdonatemi, vorrei far notare, sommessamente, che la discussione è partita da altro:dalla osservazione di Lino Soddu in merito alla utilità, o meno, che un autore spieghi la genesi e/o passaggi controversi di un testo. Lino era per il sì (perché, come lettore se ne sentirebbe arricchito, non sminuito) e io concordo, Petunia no perché, osserva, se quello che è arrivato è arrivato in maniera diversa da come è stato pensato, non è detto che sia colpa del lettore. E non fa una grinza.
    Da cui il titolo del topic.
    Poi si è scivolati sull'anonimato si/no.
    Io vorrei che ci di attenesse a questa discussione perché riveste, a mio parere, un aspetto interessante della crescita tecnica della nostra comunità.
    Grazie
     
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    Penso che un racconto possa essere letto in tanti modi diversi. Milla concas milla barritas recita un detto sardo: mille teste mille berretti. Questo significa che posso dare a una storia dei significati diversi rispetto a quelli dati dall’autore, e per tante ragioni. Nel racconto posso, ad esempio, proiettare una mia esperienza personale, dare a una parola una certa importanza mentre potrebbe passare inosservata ad un altro lettore. Potrei non capire bene una frase, una battuta, un qualcosa di fondamentale perché magari mi sono creato delle aspettative diverse, o più semplicemente mi sono distratto.
    Da una copia originale i lettori creano a loro volta delle versioni personali, un po’ come su Youtube quei giovani che si cimentano nelle varie cover di canzoni più o meno famose adattandole alla loro voce e al loro ritmo.
    Un racconto potrebbe essere per me una delusione, un flop totale mentre per un altro è un capolavoro assoluto.
    Ci sono anche i lettori indecisi, di cui faccio costantemente parte, che non sono sicuri di avere interpretato bene il testo e cercano nelle critiche più o meno ufficiali o autorevoli la risposta ai loro dubbi.
    Ecco, essendoci quindi tanti potenziali racconti quanti sono i lettori mi viene da chiedermi: ma l’autore cosa dice? Ho preso una cantonata nel dare questa interpretazione?
    Mettiamo ora che il mio autore preferito torni tra i vivi e mi risponda. Beh, io qui intendevo dire questo, qui invece intendevo dire quest’altro. Mi viene da pensare che così come nei tribunali gli imputati hanno diritto di replica, gli autori possano spiegare l’agire dei loro personaggi. Non voglio parlare qui dei concorsi e dell’anonimato. Non mi ci infilo neanche in quei discorsi.
    Una volta il concorso terminato e decretato i vincitori, si potrebbe (sempre che accetti) dare la parola all’autore di uno qualunque dei racconti in gara e chiedergli gentilmente qual è la sua interpretazione personale di quanto ha scritto e soprattutto quali tecniche narrative ha utilizzato. Sarebbe per me l’occasione d’imparare qualcosa come lettore e magari d’insegnare qualcosa in quanto autore.E ci potrebbero stare anche le situazioni invertite:il lettore ha l'occasione d'insegnare qualcosa all'autore e quest'ultimo di apprendere dal suo lettore. Insomma, m'avete capito.
    Magari ora qualcuno mi risponde e mi dice: "Guarda Lino questo di dare la parola all'autore si fa già da un pezzo!" Al solo pensarlo divento rosso come un peperone rosso di Andalusia.
     
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    Ognuno può interpretare un testo letterario come gli pare, ma questo approccio è giusto? Certo è possibile, ma è anche giusto e lecito: tuttavia è un'operazione che conduce alla verità? No, a mio avviso.
    L'articolo 12 delle Preleggi del Codice Civile del '42 porta la rubrica dell'interpretazione della legge. Perché una legge, per essere applicata deve prima essere interpretata, cioè capita da chi deve metterla in pratica, cucirla addosso al caso specifico (ciò perché le leggi devono essere generali e astratte).
    Tutti possono interpretare la legge, ma tutti la capiscono per come il legislatore l'ha intesa?
    Uguale sorte tocca a mio parere a un testo letterario: tutti possono interpretarlo, ma quanti realmente lo capiscono per come l'aveva inteso il suo autore?
    Vado a memoria, l'interpretazione può essere letterale, e quindi seguire il significato del testo scritto per come si presenta nella sua organizzazione sintattica e grammaticale, o logica, dove chi interpreta si sforza di attribuire il senso che il legislatore aveva in mente considerando la ratio della norma. O può essere analogica nel momento in cui si cerca un aggancio in leggi simili a quella da interpretare. O ancora secondo l'Ordinamento, quando nulla aiuta e solo l'indirizzo generale dell'intero ordinamento giuridico può darci una dritta.
    Tutto ciò vale per una legge e, per certi versi, anche per un testo letterario, a mio avviso.
    Non contenuta nelle preleggi esiste anche un'altro tipo di interpretazione a cui oggi purtroppo si fa ricorso sovente.
    L'interpretazione autentica, cioè l'interpretazione messa in atto dell'autore stesso della legge.
    Quando la legge risulta oscura ecco che da più parti si invoca l'interpretazione autentica del legislatore, il quale interviene precisando, quindi interpretando se stesso. Ciò sembra oggi quasi una prassi, tanto da far pensare che venga fatto apposta: si scrive una legge incomprensibile che perciò stesso rimane lettera morta fino a quando non interviene l'interpretazione autentica (come può non arrivare a seconda della necessità), che ha valore non esplicativo, ma imperativo. Imperativo perché sgorga direttamente dalla fonte e quindi vero.
    Dunque, e l'interpretazione autentica di un testo letterario? Secondo me recupererebbe quella valenza esplicativa che aveva in origine anche l'interpretazione autentica legislativa.
    L'autore rende palese ciò che vuole dire e i mezzi che gli son serviti per arrivarci, rende palese la propria storia e la ratio che si cela dietro determinate scelte.
    L'interpretazione autentica è la Verità dell'autore.
    Tuttavia, l'illustrazione di ciò che è vero per l'autore non toglie che quel testo, senza che l'autore ne abbia consapevolezza, possa assumere diversi e altri significati, non solo diversi per chi legge e interpreta, ma anche diversi nel tempo, da chi legge e interpreta dopo.
    Quindi l'interpretazione autentica di un testo letterario avrebbe la capacità di mostrare la Verità dell'autore ai lettori lasciando loro il libero arbitrio: senza doverli in realtà vincolare, anzi spronandoli a dare il proprio contributo e ad approfondire la discussione su un testo che in realtà potrebbe offrire molto altro rispetto a quanto non appaia anche all'autore stesso.
    Perché la verità dell'Autore potrebbe non essere la Verità del testo.
    Lascio a chi legge l'analogica interpretazione delle mie parole.
     
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    Ma qui si apre la caccia al metasignificato di una storia! Io continuo a sostenere che l’autore non debba dare spiegazioni, né condurre il lettore dove vuole lui. Se il testo è buono, il lettore lo vivrà, lo percepirà in base alla propria cultura, esperienza e sensibilità. Ovviamente sto parlando di un racconto o romanzo.
    Se poi ne facciamo un discorso didattico o se volete di esercitazione, allora per me il discorso può cambiare.
    Avere un feed back da un lettore o l’opportunità di spiegarsi come autore, può essere utile.
     
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    Quante volte avevo già il dito sulla tastiera pronto a spiegare il perchè e il percome il lettore non avesse capito il mio racconto o una sua parte poi mi sono fermato e mi son chiesto: ma se non ha capito è senz'altro colpa mia che non mi sono spiegato bene. E non ho scritto nulla. Altre volte mi sono detto: ma se non ha capito è proprio lui che non capisce nulla e allora che gli scrivo a fare? Quindi io la questione la risolvo proprio così senza scrivere spiegoni. Alcune rarisssimissime volte invece accetto quello che ha da dire e magari correggo pure *_* *_* *_* *_* *_*.
     
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    Per me il lettore è uno che intraprendendo la lettura di un racconto decide un po’ di scalare una montagna e ne accetta la sfida.
    Non credo che legga nell’intenzione di dare comunque una sua interpretazione personale all’opera, anche se questo molto spesso succede. Il suo scopo primario è quello di capirla per come è stata concepita. Quando questo non succede non è detto che se ne accorga. Penserà spesso di esserci riuscito, anzi, di essere uno dei pochi ad avere capito il racconto.
    Sarebbe allora una cosa buona che l’autore prendesse le cose in mano e gli dicesse: “Senti, Lellè, me sembra che tu stai camminando accanto alle tue scarpe…”
    Siccome non si nasce imparati, come si dice dalle mie parti, ben venga allora un po’ di didattica. Come a scuola quando l’insegnante di lettere (incastrato da un concorso a cattedre) cerca di presentare alla classe i Malavoglia (gli svogliati degli ultimi banchi) di Verga o i promossi sposi (quei due pomicioni in fondo e a destra) di Manzoni.
    Sì, si impara a leggere, così come si impara a scrivere, a parlare e ad ascoltare. Aggiungerei che, essendo la lettura un’abilità diversa dalla scrittura, il suo apprendimento, l’educazione alla lettura, deve avvenire in modo diverso.
    Lo scrittore, quando il messaggio non arriva, si porrà la domanda: sono io o è lui? Nei due casi solo interloquendo col lettore potrà dare una risposta.
     
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  12. Vlad
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    CITAZIONE (tontonlino @ 5/8/2020, 21:02) 
    Per me il lettore è uno che intraprendendo la lettura di un racconto decide un po’ di scalare una montagna e ne accetta la sfida.
    Non credo che legga nell’intenzione di dare comunque una sua interpretazione personale all’opera, anche se questo molto spesso succede. Il suo scopo primario è quello di capirla per come è stata concepita. Quando questo non succede non è detto che se ne accorga. Penserà spesso di esserci riuscito, anzi, di essere uno dei pochi ad avere capito il racconto.
    Sarebbe allora una cosa buona che l’autore prendesse le cose in mano e gli dicesse: “Senti, Lellè, me sembra che tu stai camminando accanto alle tue scarpe…”
    Siccome non si nasce imparati, come si dice dalle mie parti, ben venga allora un po’ di didattica. Come a scuola quando l’insegnante di lettere (incastrato da un concorso a cattedre) cerca di presentare alla classe i Malavoglia (gli svogliati degli ultimi banchi) di Verga o i promossi sposi (quei due pomicioni in fondo e a destra) di Manzoni.
    Sì, si impara a leggere, così come si impara a scrivere, a parlare e ad ascoltare. Aggiungerei che, essendo la lettura un’abilità diversa dalla scrittura, il suo apprendimento, l’educazione alla lettura, deve avvenire in modo diverso.
    Lo scrittore, quando il messaggio non arriva, si porrà la domanda: sono io o è lui? Nei due casi solo interloquendo col lettore potrà dare una risposta.

    Sottoscrivo col sangue (altrui, da buon 🦇)
     
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  13. Vlad
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    https://scrittoripersempre.forumfree.it/?t=64846263

    Sette anni fa!
     
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    Ciao, Lino. Non volevo certo dire che si inizia a leggere un'opera per interpretare l'autore, magari poi qualcuno lo fa sul serio, ma a parte il mio caso sono eventi eccezionali. Ma che quando si legge comunque si interpreta l'autore, per il solo fatto che siamo noi a leggere, mi pare lapalissiano. E la scuola cosa fa se non offrire, per mezzo dei propri insegnanti, la propria interpretazione di un testo, per il solo fatto che sia presente nei programmi ministeriali? Per decenni, quasi un secolo, sempre gli stessi autori da leggere e commentare: ci sarà pure un'idea dietro, no? E quindi un'interpretazione, non solo dell'autore, ma della realtà che lo circonda e di come si vorrebbe che fosse la nostra realtà.
    A ogni modo, se fosse vivo Verga o Manzoni non mi sarei perso una delle loro lezioni. Come ho provato a seguire quelle dei maestri oggi in vita. Per sentire dalla loro voce quel che avevano da dire.
    In questa direzione si pone, ad esempio, l'abitudine della RAI di far precedere dalla voce stessa di Camilleri una piccola spiegazione della puntata da trasmettere. E mi pare che abbia funzionato. Ma su RAI 5, ad esempio, mandano in onda programmi dove sono gli scrittori che parlano: sentire Bufalino o Sciascia che parlano delle loro opere ti apre il cuore.
    Nella speranza mai sopita che far scalare una montagna metaforica a un quindicenne possa servire a farlo innamorare a vita dell'alpinismo.
     
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    È un racconto del 2012. Aveva partecipato al concorso avente per tema i sette mari
    Colgo l’occasione di questo post per spiegarne un po’ la genesi.
    Intanto ecco il link del racconto: https://scrittoripersempre.forumfree.it/?t=62539800

    Tanti anni fa. Avevo allora sui trent'anni ed ero già zio di un bel po’ di monelli. Uno di questi viaggiava vicino alla mamma seduto sul suo sedile ciuccio in bocca, pronto ad affrontare, almeno con gli occhi, le mille difficoltà della vita che guardava scorrere dal finestrino aperto. All'epoca, non tutte le macchine erano dotate di aria condizionata.

    Si andava in Corsica a trascorrere le vacanze estive. Nella Seat Ibiza c’erano quindi, oltre al bambino e al sottoscritto, mia sorella e mio cognato.
    Il viaggio procedeva bene e, come si fa in quelle occasioni, cominciammo a cantare. Andavano forte allora nella mia famiglia “Someday, Somewhere” di Demis Roussos adatta alle strade con qualche curva e ombreggiate dai rami dei alberi in bordura.

    Improvvisamente uno strillo acuto da lacerare le mie teneri carni.

    “Frena!” urla mia sorella.
    “Cos'è successo?”
    “Frena, ti dico! Il bambino ha buttato il ciuccio dal finestrino!”
    “Dagliene un altro!” suggerisco io.
    “Lui vuole solo quello! Impossibile dargliene un altro. Ci abbiamo provato ma niente da fare.”

    Conversazione accompagnata dalle note stridule di mio nipote, ovviamente.

    Nel frattempo mio cognato aveva trovato uno slargo della strada dove parcheggiare. E qui cominciarono le nostre ricerche. Dovevamo tornare indietro e frugare ogni singolo cespuglio, e in Sardegna, credetemi di cespugli ce ne sono. Abbiamo perlustrato qualcosa come centocinquanta metri di ciglio della strada e stavamo per rinunciare quando, miracolo, mio cognato trova il ciuccio.

    Il bambino continuava a urlare disperatamente. La mamma, che era rimasta con lui in macchina, non sapeva cosa fare. Aveva recuperato nella roba del figlio il ciuccio di riserva che il bambino continuava a risputare indietro. Voleva il SUO ciuccio e basta.

    Arrivano padre e zio sudati come dei maiali, sempre che i maiali sudino. Ecco il ciuccio, il vero, quello per cui il bimbo sarebbe stato pronto a uccidere se necessario.

    Il ciuccio fu immediatamente risciacquato e messo in bocca al bambino. Ci fu un silenzio improvviso. Potemmo sentire il cinguettio dal vago accento sardo tra gli alberi.

    Potemmo proseguire, tranquilli, il nostro viaggio ben consci di averla scampata bella. “Somedays, somewhere…”

    Ho quindi travasato questa esperienza famigliare nel contesto richiesto dalla traccia. C’erano però dei problemi da risolvere. Come potrebbe il bambino perdere il ciuccio? Mi sono ricordato improvvisamente di avere visto un giorno un gabbiano con una cosa che rassomigliava a un ciuccio nel becco e di averci addirittura fatto la battutta: "Sbaglio o quel gabbiano ha un ciuccio in bocca?" Il resto è venuto da sé, o quasi.

    Riguardo all'atmosfera napoletana, beh, basta imbarcarsi in una qualunque delle navi della Tirrenia o della Moby per capirlo. Per lo più l’equipaggio, nel suo insieme, dal più umile marinaio al capitano, è di origine campana.
     
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