Camilla

aut. Paluca66

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    Dio della penna

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    È una verità universalmente riconosciuta, che uno scapolo in possesso di una grande fortuna debba avere bisogno di una moglie ma non ci sono verità universalmente riconosciute quando ad essere in possesso di una grande fortuna è una nubile.
    Una nubile, ca va sans dire, è una donna e una donna non ha mai bisogno di niente e di nessuno: questa, sì, che è una verità universalmente riconosciuta!
    Ecco perché quando l’aereo che portava i suoi genitori a New York precipitò in mezzo all’Oceano Atlantico lasciandola orfana, fuori dalla porta di casa di Camilla non ci fu la coda di spasimanti e pretendenti, ma a bussare furono soltanto zii e cugini.
    A 27 anni, appena laureata, i genitori avevano lasciato in eredità a Camilla un piccolo impero economico oltre a un seno florido e due gambe niente male che amava mettere in mostra con gonne che si allungavano o si accorciavano a seconda delle circostanze.
    Per quasi sette anni la sua vita fu scandita da lunghe giornate lavorative che trasformarono ben presto l’azienda dei suoi genitori da piccolo a medio impero economico; e quando sentiva l’esigenza di soddisfare certi bisogni sapeva dove cercare e come fare, il tutto non durava mai più di una notte.
    Poi una sera a teatro con tre amiche, una compagnia poco più che dilettantistica, una di loro conosceva il regista, erano amici, andarono a cena dopo lo spettacolo, Camilla si ritrovò seduta di fronte a lui, Paolo, attore dilettante, parlarono per tutta la sera.
    E lui la conquistò.
    Per la prima volta un uomo stava parlando con lei e gli occhi di lui, invece che cercare le sue tette o le sue cosce, si fissavano negli occhi di lei e non li lasciavano.
    Si frequentarono per due settimane, tanti discorsi e tante passeggiate serali, niente altro, nulla più del classico bacio sulla guancia quando si salutavano, nemmeno una mano nella mano, il letto lontanissimo dai loro pensieri (beh, forse da quelli di Camilla non proprio così lontano…)
    Finché una sera a cena, complice qualche bicchiere di vino in più, lei si decise; aspettò che tornasse al tavolo dopo aver pagato la cena e…
    “Paolo, ormai sono più di due settimane che ci frequentiamo”
    “Davvero! È volato il tempo in questi giorni…”
    “Pensavo che forse sarebbe ora…”
    “Che cosa mi nascondi con quel visetto furbo?”
    “Insomma… pensavo che forse stasera… potresti salire da me…”
    Lo vide cambiare espressione, una sorta di stupore gli attraversò lo sguardo.
    “Camilla… che dici? Davvero dopo tutti questi giorni non l’hai capito? A me… a me piacciono gli uomini… sono gay”.
    Sarà stato il vino, sarà stata la delusione, il suo orgoglio di donna ferito, fatto sta che la reazione fu decisamente troppo sopra le righe: “Cosa? Cosa stai dicendo? Sei un RICCHIONE DI MERDA!”
    Vide il volto di Paolo indurirsi, le sue mani che tremavano, si alzò e senza dire nulla se ne andò.
    Passò quasi una settimana a piangere, provò a chiamarlo ma il suo telefono era sempre staccato, imparò a memoria la sua segreteria, in un attimo aveva perso non solo un possibile amore ma soprattutto il primo vero amico che avesse mai avuto.
    E arrivò la depressione.
    La travolse con una violenza tale che per quasi un mese vegetò a casa senza riuscire nemmeno a uscire per andare a lavorare; per fortuna c’era Giorgia, il suo braccio destro, che per tutto il mese trasferì la sua vita in azienda e diventò anche il suo braccio sinistro.
    Per otto lunghissimi anni imparò a convivere con il male oscuro, arricchì psicologi e farmacie; le gonne vennero sostituite da pantaloni, quasi sempre neri, nessun uomo entrò più nel suo letto, quelli che provavano ad avvicinarsi, inevitabilmente, se ne andavano terrorizzati dopo qualche giorno: non faceva nulla per allontanarli (o almeno così credeva) ma erano loro a evitarla quasi fosse un’appestata.
    Poi una domenica, passeggiava senza meta per la città, improvvisamente sentì delle persone che cantavano e fu attratta da quel suono; proveniva da una Chiesa e, nonostante non avesse mai creduto in Dio, sentì il desiderio di entrare.
    Era in corso la Messa e alla fine del canto il sacerdote iniziò l’omelia: era un frate e utilizzò parole molto semplici per raccontare la sua vita di missionario in Camerun, parlava e Camilla percepiva che la vita di quel frate così semplice, così apparentemente banale, era una vita piena.
    Tornò ancora la domenica successiva e poi quella successiva e quella successiva ancora, stava in fondo alla Chiesa e usciva subito dopo l’omelia; finché l’ultima domenica sentì il frate salutare i fedeli poiché era giunto per lui il momento di tornare in Camerun, a casa mia disse.
    Aspettò la fine della funzione e lo raggiunse in sacrestia, gli chiese se avesse un minuto per lei, le rispose con un sorriso disarmante; la ascoltò parlare per quasi due ore, come un fiume che ha rotto gli argini le parole fluivano dal suo corpo, dal suo cuore, dalla sua testa, senza soluzione di continuità.
    Quando finalmente ebbe finito, lui si limitò a farle una domanda: “perché non mi raggiungi in Camerun?”
    “Come? Come dice?”
    “Hai capito benissimo, raggiungimi in Camerun”
    “Ma come faccio! C’è il lavoro! E poi… “
    E poi cos’altro la tratteneva? Il frate non disse più altro, le lasciò i suoi recapiti e il numero di cellulare
    “Pensaci” le disse quando Camilla si voltò a salutarlo.
    E ci pensò, oh se ci pensò! Per tutto quel pomeriggio non fece altro e poi ancora per il giorno successivo e così via per due lunghe settimane.
    Poi una mattina si svegliò e comprese che quello che anni di psicologi non erano riusciti a fare si era compiuto con il sorriso e le semplici parole di Frate Andrea: la decisione l’aveva presa già quel pomeriggio uscendo dalla sacrestia: doveva partire!
    Le ci volle poco più di un mese per sistemare, preparare, organizzare tutto: affidò l’azienda a Giorgia che fu promossa presidente sul campo, in cambio si assicurò uno stipendio mensile di tremila euro vita natural durante, diede mandato a un’agenzia di vendere la casa di famiglia, salutò quelle due amiche che le erano rimaste vicine in tutti quegli anni bui e salì sull’aereo.

    * * * * *


    Seduta alla cattedra osservava i suoi alunni, i suoi bambini e pensò che il giorno dopo avrebbe compiuto ottant’anni e che da più di trentacinque il Camerun era casa sua, non era più tornata in Italia nemmeno una volta!
    Aveva costruito tre scuole e della prima era tutt’ora la preside e l’insegnante di italiano e di francese; aveva concluso tre cicli di studi elementari e tre dei suoi alunni del primo ciclo vivevano in Italia dove si erano laureati e avevano messo su famiglia: ogni estate puntualmente tornavano a trovarla e a ringraziarla per tutto quello che aveva fatto per loro.
    Ogni giorno quando si svegliava la prima persona che incontrava era Frate Andrea, ogni sera quando si coricava l’ultima persona che vedeva era Frate Andrea: erano come due vecchi sposi inaciditi, litigavano praticamente su tutto ma si volevano un gran bene e non potevano più fare a meno l’uno dell’altra.
    Lui cercava ancora incessantemente di convertirla al suo Dio, di combattere l’agnosticismo di Camilla, lei cercava di convincerlo che non è normale che un essere umano viva tutta la vita senza aver mai provato almeno una volta le gioie del sesso: Camilla restava sulla sua posizione, Frate Andrea sulla propria. A volte le discussioni degeneravano in lite, stavano anche mezza giornata senza parlarsi, poi tutto tra loro ricominciava come se niente fosse, era l’unico vero amico che Camilla avesse mai avuto!
    Per l’indomani sicuramente Frate Andrea le avrebbe preparato una grande festa, avrebbe cercato ancora una volta di riempire il grande vuoto che non aveva mai abbondonato Camilla in tutti quegli anni, il vuoto creato dalla mancanza di un uomo accanto, quell’amore che non era mai riuscita a trovare nella sua vita.
    Frate Andrea avrebbe coinvolto tutti i bambini per farla stare bene, quei bambini che, seduti ai banchi di fronte a lei, chini sui loro fogli su cui stavano tentando di svolgere un tema, le riempivano il cuore di orgoglio…
    E mentre li osservava, pensò che forse non era così che dovevano andare le cose. Ma così stavano.
    "Nel complesso", rifletté, "sarebbero potute andare decisamente peggio".
     
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    Penna d'oca

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    Bel racconto edificante, sul quale riflettere. Siamo tutti epicurei tesi al soddisfacimento dei bisogni materiali, eternamente insoddisfatti, perché non ci rendiamo conto che, come giustamente viene rimarcato nel racconto, la vera felicità e la pace spirituale la si raggiunge solo con l’amore e la dedizione per il prossimo.
     
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    Un racconto dolce-amaro, in cui il successo economico non coincide necessariamente con il benessere psicologico e la realizzazione personale.
    Mi sarebbe piaciuto qualche dettaglio in più sui luoghi del Camerun che la protagonista è infine giunta a chiamare casa, ma mi rendo conto che avrebbe sottratto troppo spazio alla prima parte del racconto, nella quale Camilla matura la decisione di partire.
    A livello stilistico è chiaro e scorrevole. L'unica cosa che non apprezzo particolarmente è l'utilizzo frequente dei due punti in un testo di narrativa, soprattutto se i due punti vengono usati 2 volte nella stessa frase.
    Non si tratta di un errore, non ci sono regole che lo vietino, è solo un mio parere soggettivo che nulla toglie alla bellezza del racconto.
     
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    Kiriku, i due punti utilizzati nella stessa frase sono un refuso, sfuggito alle numerose riletture purtroppo: bene hai fatto a rimarcarlo.
    Sull'uso dei due punti in generale in un testo di narrativa, invece, ci rifletto, magari in attesa del parere in merito anche di qualcun altro. A me non dispiace in assoluto, dipende dal contesto.
    Grazie.
     
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    Ciao.
    Volelvo segnalarti qualche dettaglio:
    Io trovo questa lunghissima frase molto faticosa da leggere ed estremamente poco chiara:
    "Poi una sera a teatro con tre amiche, una compagnia poco più che dilettantistica, una di loro conosceva il regista, erano amici, andarono a cena dopo lo spettacolo, Camilla si ritrovò seduta di fronte a lui, Paolo, attore dilettante, parlarono per tutta la sera." Leggendola, dopo la prima virgola a me sembra che siano le tre amiche, una compagnia dilettantistica.
    Nella frase "Per la prima volta un uomo stava parlando con lei e gli occhi di lui, invece che cercare le sue tette o le sue cosce, si fissavano negli occhi di lei e non li lasciavano."
    c'è una ripetizione "di lei, di lui, di lei" che, secondo me, la appesantiscono. Credo che la si potrebbe riformulare in maniera più efficace.
    Il frate conclude l'omelia "...per lui il momento di tornare in Camerun, a casa mia disse." "A casa mia" sono le parole del frate, quindi credo che avresti dovuto metterle tra virgolette
    o scriverle in corsivo, distinguerle in qualche modo dal resto del discorso, perchè se, al contrario, sono le parole riportate dalla donna, allora avresti dovuto scrivere '.. in Camerun a casa sua, disse."

    A parte questo, trovo la storia un po' surreale.
    Mi sembra difficile che una direttrice d'azienda che macina milioni come noccioline vada in depressione perchè non si è accorta che spasimava per un omosessuale.
    Otto anni di depressione, addirittura! Per quanto riguarda il "cercare rifugio" in chiesa, invece, mi sembra plausibile: la nostra anima cerca conforto e un canto al momento giusto
    può anche farci entrare in una chiesa. Se poi si trova un officiante speciale, si può anche avere un'epifania.
    Però credo che avresti dovuto psicanalizzare un po' di più la tua protagonista: quali tormenti interiori l'hanno portata a fare un passo tale da stravolgersi la vita? Non mi basta un "ci pensò due settimane e poi decise di andare": in questo modo non mi coinvolgi e non mi fai immedesimare nel personaggio.
    Eviterei anche di quantificare lo stipendio mensile che si è data: sarei stata sul vago.
    Alla fine hai chiuso alla "e vissero tutti felici e contenti" con lei che ha finalmente trovato il suo scopo nella vita e i suoi ex alunni che vanno avanti e indietro tra l'Italia e l'Africa per
    salutarla. Questo finale ben infiocchettato mi ricorda quello delle favole e anch'io avrei voluto sapere di più della sua vita in Camerun, delle difficoltà che ha incontrato, dei dubbi che le sono venuti in un momento di crisi... e invece la storia è lineare e pulita come una favola e così finisce.
    Sì, in pratica con i miei commenti si sarebbe scritto un altro racconto: quello che avrei scritto io. :D

    Non te la prendere: sto solo cercando di spiegarti quelli che, secondo me, sono i punti deboli ma io non sono un critico letterario (tutt'altro) e quindi ti sto solo dando degli spunti
    di riflessione che potrai (saggiamente) decidere di ignorare a piè pari.
    Tornando al tuo racconto, il personaggio principale è abbastanza ben delineato e la storia è comprensibile e ben scritta.
    Incipit ed Excipit si abbinano bene e sono ben integrati nel testo.
    Prova superata. Alla prossima.
     
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    Penna d'oca

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    La qualità della scrittura non è male, a parte alcuni punti un po’ farraginosi e poco scorrevoli che ti sono già stati segnalati.
    Il limite, a mio avviso, del racconto è la sua inverosimiglianza.Non sei riuscita a rendere credibile il cambio di vita. La psicologia della protagonista è solo abbozzata e solo in relazione alla vita amorosa, non sappiamo, ad esempio se è contenta del lavoro che fa benché tu ci dica che lo faccia con successo.
    Sebbene io non abbia questa gran fede in dio, avrei preferito che avesse almeno avuto una vocazione, fosse stata chiamata dal signore. Questo avrebbe potuto spiegare cose che invece il racconto non fa né capire né intuire.

    Edited by gipoviani - 1/12/2020, 16:37
     
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    Scrivano

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    Ciao Paluca

    Il racconto offre più di uno spunto e il tema che hai affrontato è sempre motivo di riflessione. C’è dunque una morale in questa storia dall’esito più o meno felice.
    Se il messaggio è forte e chiaro, non altrettanto lo sono i personaggi. La ragazza non è sufficientemente glamour (la immaginerei come una Paris Hilton), la motivazione della sua infelicità non sufficientemente forte, oltretutto, devo dirlo, non ho parteggiato per lei neppure per un secondo. Trattare un uomo come ha fatto lei fa accapponare la pelle e non la rende simpatica. Quindi il mio retropensiero come lettrice è stato per tutto il tempo: “ben le sta!”.
    L’incontro con il sacerdote (ma non con la fede) è poco approfondito ed ė difficile credere che lei si sia distaccata da tutto solo per seguire un uomo (a meno che non fosse innamorata del sacerdote, che poteva una chiave spiazzante alla fine) del resto, come già detto, non lo ha fatto per la fede. Dunque cosa si aspettava di trovare in Camerun?
    La cosa che mi ha fatto arrabbiare di più è questa frase:
    CITAZIONE
    Per l’indomani sicuramente Frate Andrea le avrebbe preparato una grande festa, avrebbe cercato ancora una volta di riempire il grande vuoto che non aveva mai abbondonato Camilla in tutti quegli anni, il vuoto creato dalla mancanza di un uomo accanto, quell’amore che non era mai riuscita a trovare nella sua vita.

    ma come? In tutti quegli e con tutto il buono che è comunque riuscita a fare non ha riempito il grande vuoto? che non l’ha mai abbandonata?
    Se la ragazza fosse diventata missionaria, avesse preso i voti, avesse almeno colmato il vuoto, tutta la storia avrebbe avuto un senso che così non riesco a capire più di tanto.
     
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    Dunque, il tuo stile mi è piaciuto. Asciutto, morbido, si srotola lento conferendo al racconto i tempi giusti.
    Ho apprezzato molto questa protagonista che si converte all'altruismo anziché alla fede: è la missione del frate a convincerla, non la religione. Bello, molto coerente. L'unico dubio che mi viene è Paolo era davvero suo amico? Lei ci è andata giù pesante e capisco il risentimento dovuto al sentirsi tradito, ma se l'amicizia è autentica, un tentativo almeno per riconciliarsi si concede. Non è una critica al personaggio, è solo una mia incomprensione.

    Comunque, bello scritto davvero.
     
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    Penna suprema

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    Avrà pure un bel seno e gambe da ballerina, Camilla, ma a me non piace per niente.
    Dopo aver umiliato amaramente e volgarmente un pover'uomo, colpevole di essere gay e di averla illusa con la generosità
    della sua amicizia, sprofonda nella depressione. Uscita da quell'inghiottitoio abbocca all'invito di un frate e si mette a fare la missionaria,
    cioè a insegnare italiano e francese in un'anonima scuola del Camerun.
    Tutto appare esagerato e poco credibile.
    Collezionista di delusioni si dedica anima e non corpo a frate Andrea, unico personaggio che frequenta mattina e sera.
    Considerando che.
    Trenta anni fa il Camerun umiliò l'Argentina e Maradona, una certa attrazione deve averla per forza.
    Il Camerun.
     
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    Regina di cuori

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    oltre

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    Un racconto che mi ha lasciato non poche perplessità, ha frequentato un uomo per poco più di due settimane e la delusione con conseguente depressione le ha condizionato la vita per otto lunghi anni, mi è parso eccessivo.
    In compenso una buona trama, solo avrei voluto saperne di più sui trent'anni trascorsi in Camerun, anche da ottantenne rifletteva sull'astinenza dell'amico frate.
    Una vita dedicata ai bimbi cosi lontana dalla sua terra, se ciò l'ha resa felice me ne compiaccio, in fondo anche avere tanta ricchezza non dona felicità.
     
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    Soldato semplice

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    Una trama poliedrica con tante sfaccettature.
    Una donna che dalle premesse dovrebbe bastare a se stessa ma non rinuncia all'altro sesso e di fronte all'uomo affascinante, ma gay resta spiazzata.
    La depressione credo derivi da molte concause che forse avresti dovuto evidenziare, il non avere certezze ad es. una persona che ti ama incondizionatamente o una fede religiosa salda.
    Il Camerun credo l'abbia attratta come avventura e diventato poi essenza di vita.
    Il personaggio è ben delineato, caparbio, ostinato caratteristico di un indole forte, il linguaggio scorrevole e si legge piacevolmente.
    :noviolence.gif: Un ottimo lavoro.
     
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    Scrivano

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    Bella storia Paluca, mi è piaciuta tantissimo. Pensa che ho un'amica che è praticamente come la tua protagonista (mutati mutandis): a capo di una florida industria, piena di soldi e depressa cronica, e ho sempre pensato che se invece di ingrassare il suo inutile psicanalista fosse partita per l'Africa a costruire scuole e affini... avrebbe avuto più possibilità di essere felice. Gliel'ho anche detto, non proprio così... ma è troppo attaccata alla sua infelicità per aver voglia di cambiare...
    La tua protagonista invece l'ha fatto, e di ciò mi compiaccio! Bella scrittura scorrevole e accattivante, a parte il trascurabile particolare che l'omelia non viene pronunciata dopo un canto, almeno nel rito romano che io frequento, ottimo racconto. Bye :)
     
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    Penna furiosa

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    Ciao Paluca,

    non so se era un tuo obiettivo, ma sei riuscito a rendermi insfangabile la tua protagonista. Altera, scostante, aggressiva, forse anche superficiale, insomma così antipatica che non sono riuscito a riqualificarla neppure col suo cambio di registro.
    La storia secondo me ci può stare, forse la delusione con Paolo è solo la goccia che fa traboccare il vaso: la perdita dei genitori, la responsabilità di mandare avanti un'azienda, un'incapacità di sapersi relazionare con l'altro sesso, pretese magari spropositate, sono tutte cose che hanno contribuito nel tempo a minare la sua situazione emotiva e la scoperta dell'omosessualità di Paolo è solo la scintilla che ha fatto deflagrare il tutto.
    La seconda parte, quella sul Camerun come ti hanno già fatto notare è poco accennata e poi solo raccontata. Sarebbe stato bello farci vivere un pò il paese o anche solo il rapporto con frate Andrea. Ci parli di scontri, discussioni, scaramucce, cose che poi rientrano nel binario dell'amicizia; sarebbe stato più bello, più completo inserire qualche dialogo, farci sentire quei battibecchi dalla voce stessa dei due protagonisti, farci provare davvero i loro scazzi e le successive riappacificazioni.
     
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    Penna stilografica

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    Premetto che il racconto mi è piaciuto molto, sia per la storia, sia per l’uso delle parole che ho trovato sempre appropriate, semplici ma efficaci. Tutte al posto giusto. L’unico periodo veramente caotico è quello già segnalato “Poi una sera a teatro … parlarono tutta la sera” che è indubbiamente da riscrivere.
    L’unico vero problema (del resto facilmente superabile) è l’uso anarchico della punteggiatura e soprattutto della virgola con cui hai sostituito spesso un punto o un punto e virgola, oppure l’uso dei due punti che talvolta mi è parso arbitrario. Sono stupidaggini ma penalizzano un bel racconto ed è un vero peccato.
    Ci sono dei periodi che iniziano con una congiunzione (E – Finché), cosa che eviterei.
    Per gusto personale preferisco “ventisette anni” a “27 anni”.
    Nel periodo “La travolse con una violenza tale che per quasi un mese vegetò a casa senza riuscire nemmeno a uscire per andare a lavorare” cambierei uno dei due: riuscire e uscire, che non suonano bene così vicini.
    Messa: preferirei “messa”.
    “Poi una domenica, passeggiava senza meta per la città, improvvisamente sentì delle persone che cantavano e fu attratta da quel suono” mi parrebbe meglio: “Una domenica, mentre passeggiava senza meta per la città, improvvisamente sentì delle persone che cantavano e fu attratta da quel suono”.

    Scusa se mi sono dilungato fin troppo, ma spero che qualcuna di queste osservazioni possa servirti.
     
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    Penna furiosa

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    Ciao Paluca,
    questo è un buon racconto, ricco di fatti e corposo. Ti segnalo le "cose" che a mio avviso mancano un pò: senz'altro il limite di battute non ti ha permesso d'indagare in profondità alcuni aspetti molto interessanti del brano.
    La prima riflessione che mi salta in mente dopo aver letto il racconto è questa: ma come, riesce a diventare amica fraterna di un prete (che ha votato la sua vita ad amare Dio) e non riesce a instaurare lo stesso rapporto con Paolo (che invece ama gli uomini)?
    Andrea e Paolo sono due uomini che non ameranno mai Camilla, ma le sono entrambi amici: la differenza sta nel fatto che a priori la donna sapeva già che Andrea non poteva essere più di un amico, mentre da Paolo si sente delusa? Per me è molto interessante questo fatto: accentui in maniera sottile ed elegante quanto la protagonista sia viziata da uno stile di vita dove, forse, essendole tutto dovuto, non le ha permesso di trovare un certo livello empatico con il resto del mondo.
    CITAZIONE
    Una nubile, ca va sans dire, è una donna e una donna non ha mai bisogno di niente e di nessuno: questa, sì, che è una verità universalmente riconosciuta!

    Dopo l'incipit imposto, il tono del racconto squilla forte e chiaro con questa frase: l'impatto è un pò aggressivo, ma ben si adatta alla protagonista.
    Quindi da subito le cose sono chiare: Camilla non ha bisogno di nessuno, sono gli altri ad aver bisogno di lei.
    Con Paolo le cose cambiano e la sua reazione insensibile e violenta lo dimostra: forse non è vero che non ha bisogno di nessuno. Tutta la parte introspettiva che riguarda questa presa di posizione viene saltata a piè pari (tanto che uno si chiede se otto anni di lutto profondo per la morte di un amore mai nato non siano eccessivi... E forse lo sarebbero, ma in realtà qui si parla d'altro: Camilla ha sbirciato nel niente che la compone e ne è rimasta traumatizzata).
    Analizzare l'origine di quel malessere, a mio avviso, poteva essere fondamentale per indagare meglio su i perchè di una depressione che altrimenti sembra infondata.
    Poi l'incontro con Andrea e la fuga in Africa dove, alla fine, non cambia molto dentro Camilla; anche perchè è abbastanza inutile andare dall'altra parte del mondo quando il problema siamo noi.
    Credo che l'elenco dei fatti che si alternano in questa vicenda sia sì coinvolgete, ma con troppa "carne al fuoco" non si riesce a emozionare più di tanto. Hai condensato un intero romanzo in poche righe, riassumendo una vita solitaria e triste in una serie di azioni poco approfondite.

    In alcune occasioni ho notato delle strane "contorsioni" nella costruzione delle frasi. Alcune te le hanno già segnalate: aggiungo questa perchè forse si poteva scrivere in maniera diversa (perhé affiancare gli alunni ai bambini? Lo so che l'intento è quello di sottolineare il fatto che lei quei bimbi li sente un pò suoi, ma la frase risulta poco scorrevole).
    CITAZIONE
    Seduta alla cattedra osservava i suoi alunni, i suoi bambini e pensò che il giorno dopo avrebbe compiuto ottant’anni e che da più di trentacinque il Camerun era casa sua, non era più tornata in Italia nemmeno una volta!
     
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35 replies since 22/11/2020, 17:12   561 views
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