Il tappeto

aut. Vittorio Veneto

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    Dio della penna

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    Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
    Odiavo quella frase per le troppe volte che Daniela me l'aveva detta. Era il suo commento preferito su amici e conoscenti -per non dire di perfetti sconosciuti- che vivevano un dolore, senza fuggire quella infelicità. Trovavo questo incomprensibile e ogni volta litigavo con Daniela che mi rimproverava una vita facile, leggera, che non conosceva il dolore.

    Guardai fuori dalla finestra cercando il mare che mi accoglieva ogni giorno. Correre alla spiaggia e tuffarmi nel mare: nascondermi. Era quello che volevo, come quella volta da ragazzino dai nonni, in quel piccolo appartamento che appariva gigantesco ad un bambino di 5 anni. E la cosa più grande era quel tappeto che copriva buona parte del salotto. Ricordavo le emozioni del ragazzino che quel giorno voleva aiutare i nonni, anche se il nonno borbottò quando cominciai a tagliare il primo ciuffo di frange.
    «Taglio pochissimo, nonno» lo rassicurò quel ragazzino senza alzare la testa dal tappeto. «Aggiusto solo la lunghezza, come fa il barbiere con i miei capelli».

    L'intervento che avevo in mente richiedeva la massima attenzione. Il tappeto era speciale agli occhi della nonna, era un “persiano”. Quanto rise quella volta che le chiesi se era il marito della persiana che chiudevano alla sera affacciandosi alla finestra! Il tappeto era davvero molto grande: una volta con il cugino Antonio lo misurammo a capriole e avevo dovuto farne più di tre per non sentire più sotto la testa il pelo soffice del tappeto. Aveva frange lunghe, sempre arruffate. La nonna era pronta a rimetterle in ordine appena il nonno vi passava sopra per raggiungere la sua poltrona che si innalzava come una montagna lungo il bordo del tappeto. Chissà dov'era finita quella poltrona?
    Quando non c’era il nonno seduto, ci salivo arrampicandomi da tutte le parti. Lui cercava di dirmi come sedersi, ma sembrava una cosa noiosa. Divertente era scalare lo schienale, lottando contro il muro che lasciava uno stretto passaggio per poi lasciarsi cadere sul cuscino molto più morbido del resto della poltrona. E poi saltare sul tappeto proprio lì sotto. Diventava anche una colorata pista da corsa, quel tappeto, per le automobiline che mi avevano regalato. Nel gioco le frange del tappeto si impigliavano nelle ruote delle automobiline e la nonna era sempre lì a rimproverarmi di non ingarbugliarle. Volevo proprio aiutarla a tenere in ordine le frange del tappeto persiano.

    La settimana precedente il nonno mi aveva portato per la prima volta dal suo barbiere. Seduto sul cavallino di ferro su cui mi avevano fatto salire, stringevo forte le redini: il barbiere mi aveva avvertito che il cavallino poteva partire al galoppo all'improvviso!
    Il nonno sorrise dicendomi che era una bugia, ma continuai a tenere stretto il cordino di cuoio mentre il barbiere mi metteva un lenzuolo intorno il collo. Poi le forbici cominciarono a fare rumore intorno la mia testa: un rumore così forte ché ero sicuro sarei rimasto senza capelli, come era successo al barboncino della zia. E invece scesi dal cavallo con un taglio di capelli tutti allineati a caschetto.
    In quel giorno cominciai a interessarmi alle forbici, strumento magico. Quando poi vidi quelle lucide della nonna - riposte nella scatola del cucito in fondo all’armadio - una idea cominciò a prendere forma.

    Ero convinto di regolare le frange del tappeto in poco tempo: potevo stare comodamente sdraiato a tagliare, mentre il barbiere doveva stare in piedi. Vi era un momento particolare della giornata in casa dei nonni. Dopo pranzo il nonno andava sempre sulla poltrona a pensare -così mi diceva- mentre la nonna rimaneva in cucina a parlare con la mamma e il papà. Quel giorno c'erano anche gli zii.
    Senza farmi sentire recuperai le forbici dall'armadio e mi misi al lavoro, ma la cosa si rivelò più difficile del previsto. Le frange non volevano stare ferme, la lunghezza dei fili era sempre diversa. Ero deciso, però, a non arrendermi. Steso sul pavimento, prendevo la mira per centrare il taglio. Ricordo lo stupore, dopo aver pareggiato il primo ciuffo di frange, vedendo che le frange tagliate erano diventate molto corte rispetto a quelle che dovevo ancora tagliare. “Ricresceranno, come i miei capelli” pensai deciso. Continuai a tagliare tutte le frange per pareggiare la loro lunghezza. Un paio di volte sentii il nonno brontolare dalla sua poltrona, ma non potevo distrarmi perché le frange si sarebbero mosse.

    Dopo aver pareggiato l'ultimo ciuffetto mi alzai in piedi soddisfatto. Stavo per richiamare l'attenzione del nonno sul taglio completato quando la nonna entrò nel salotto. La guardai sorridendo perché lo avevo fatto proprio per lei. La nonna mi guardò, guardò il nonno e aprì la bocca per lanciare un urlo che non le avevo mai sentito.
    Le sedie della cucina si mossero. Voci urlarono, parlarono tutte insieme.
    Non osavo guardare il mio lavoro: altro che sorrisi, il taglio delle frange aveva fatto arrabbiare la nonna e anche la mamma. Scappai via tra le gambe degli zii.
    Mi rifugiai sotto il lettone dei nonni. Il mio rifugio segreto, invisibile sotto quelle molle cigolanti. Quando giocavo a nascondino con lo zio, lui non riusciva mai a trovarmi. Vidi tante scarpe muoversi nella stanza, ma nessuno mi cercava. Neanche mio zio. Non seppi mai quanto tempo passai lì sotto: decisi di uscire, volevo spiegare perché lo avevo fatto. Improvvisamente un lembo della sovraccoperta si sollevò e apparve il viso della mamma. Mi gettai nelle sue braccia: stava piangendo. Anche la nonna piangeva. Allora smisi di trattenere le lacrime: trovai appena il fiato per dirle “scusa, scusa, non lo faccio più. Incollerò i pezzi tagliati”. La mamma mi strinse forte.

    Volevo andare alla spiaggia. Gettarmi in acqua e nascondermi. Nascondermi al dolore che provavo. Ti guardai ancora una volta, mamma, distesa sul letto grande. Vicino il tuo corpo silenzioso Daniela riusciva a fare qualcosa, pregare qualcuno. Io no.
    Alzai la testa. Il mare aperto era sbarrato da un banco di nubi nere, e il quieto corso d’acqua che portava ai confini estremi della terra scorreva cupo sotto un cielo offuscato – pareva condurre nel cuore di una tenebra immensa.
     
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    Penna furiosa

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    Mi è piaciuto molto questo racconto di una giornata di un bambino al mare.
    Il testo scorre bene e ti invoglia a continuare la lettura.
    I personaggi sono molto credibili e ben delineati anche se con poche parole: hai fatto parlare la casa e il comportamento del bambino
    per delineare una situazione, senza usare inutili spiegazioni noiose.
    La storia è credibilissima: la stessa cosa l'abbiamo fatta io e il mio amichetto di 5 anni con le nostre frangette e una reazione più o meno simile da parte dei nostri genitori.
    Storia tenera ben costruita dove incipit ed excipit calzano a pennello.
    Ti segnalo solo di stare attento alle ripetizioni: Nel secondo capoverso ci sono almeno tre "ragazzino" in tre frasi.
    Ti consiglio di usare un editor che ti calcola il numero di volte che usi una parola in un testo, per non ricaderci.
     
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    Penna d'oca

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    Raccontino di un gioco mal riuscito, di un bimbo di cinque anni, rievocato da un adulto in occasione di una circostanza tragica (così mi è sembrato di capire). Non si capisce chi sia Daniela (la sorella? la moglie?). Nell’ultimo periodo ‘Ti guardai ancora una volta, mamma, distesa sul letto grande (presumo morta). Vicino il tuo corpo silenzioso Daniela… (vicino al tuo corpo…?)
     
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    Grazie Stefia per il passaggio, il commento (quel ragazzino era proprio vivace: lo trovi dappertutto (: XD )e il suggerimento.

    =) =) =) =)
    Claudio
     
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    Il Conte

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    Un episodio quotidiano raccontato con tanta tenerezza. L'innocenza di un bambino che voleva solo testare una novità, ma che finisce in questo modo per danneggiare così un oggetto importante per la nonna.
    Una lezione che penso tutti abbiamo imparato sbagliando e fuggendo ciascuno nel suo personale buio.

    Una lettura davvero piacevole al termine della quale é impossibile non concedersi un ricordo
     
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    Un racconto dolce-amaro che mescola la tristezza del presente con un gesto "altruista" del passato compiuto dal protagonista bambino nei confronti della nonna.
    Mi ricorda un po' quando, da bambina, avevo voluto accorciare con la forbice i capelli delle bambole, certa che sarebbero ricresciuti... Ops.
    Lo stile, nella parte centrale del racconto, è molto semplice, idoneo a ricostruire i pensieri di un bambino.
    L'unica cosa che non mi è chiara è chi sia Daniela. All'inizio avevo ipotizzato fosse la moglie ma, leggendo il finale, deduco che sia la sorella.
     
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    Un ricordo dolce, perché la gioia dell'impegno laborioso dell'allineamento perfetto del taglio copre il disastro commesso. E il narrante non sembra rendersene conto nemmeno adesso che, probabilmente è adulto. Il focus della narrazione è infatti il lavoro meticoloso compiuto. La presa di coscienza del mal fatto è un po' troppo generica, un dispiacere dato alla mamma, che infatti piange. Non c'è la presa di coscienza della gravità del danno fatto.
    Comunque tutto ok, stile, lessico, sintassi, perfettamente adatti al tema. OK anche la punteggiatura, che è piuttosto avara, come deve essere. Il ritmo deve scaturire dall'architettura delle frasi stesse, non essere determinato dalla punteggiatura.
    Il finale è un po' enigmatico. Non si ha la sensazione di un preciso stacco di tempo. Anche all'inizio il fatto che il ricordo sia scaturito da qualcosa accaduto passa inosservato. Sembra che il ricordo scaturisca dai battibecchi con la misteriosa Daniela.
    In definitiva è da rivedere solo la cornice del racconto, l'attacco e la conclusione..
     
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    Un racconto agrodolce, malinconico, che mischia ricordi, leggerezza, le tragedie finte della vita e quelle vere.
    Soprattutto è un racconto semplice, fatto di immagini che penso facciano capolino dalla giostra delle memoria di tanti: il nonno che borbotta, il cavallino dal barbiere, il nascondiglio sotto il lettone.
    Daniela io l'ho vista come la moglie, ma potrebbe essere benissimo la sorella. Non ha molta importanza ai fini della narrazione.
    Ti sottolineo, come ha già fatto Stefia, le ripetizioni. Oltre a ragazzino ripeti frangia troppe volte, utilizza qualche sinonimo.
    A parte questo posso solo dirti che hai scritto davvero un buon racconto.
     
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    Simpatico bambino, se i miei futuri nipoti mi faranno una cosa del genere... meglio che non mi esprima, se no Gesù bambino non mi manderà mai nipoti... ;)
    La storia è carina, ma la struttura del testo mi lascia perplessa. Il primo paragrafo che separi anche con uno spazio dall'inizio della storia, lo trovo completamente scollegato dal testo. Un'osservazione sui massimi sistemi, che non viene collegata in nessun modo con la storia che segue. La conclusione è coerente, anche se a mio parere, tutto questo strazio è un po' eccessivo. Un lavoro discreto. Bye ;)
     
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    Bellissimo.
    Ti ringrazio per aver ricordato la mia infanzia, la sovrappopolazione dal barbiere, il cavallino di ferro sul quale mi addormentavo a ogni taglio,
    e papà che fumava e rideva al mio risveglio da rapato.
    E la poltrona grande, di pelle, arredo importante della stanza da pranzo insieme alla tv.
    E la mamma, sempre pronta a abbracciarmi, a perdonarmi ogni cosa. Anche se ero un bambino buono con poco da farsi perdonare.
    Te lo ridico, sei bravissimo. Hai stimolato un traffico di sensazioni, di emozioni pesanti che nessuno era riuscito a smuovere.
    Per me hai già vinto.
    Autore.
     
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    I bambini... per fortuna che ci sono. Tenerissimo il tuo racconto che trascina il lettore insieme a te nel magico mondo dell'infanzia, ingenuo e pieno di magia.
    Il protagonista è un ragazzino d'altri tempi che ritroviamo seduto da un barbiere su un cavallo di ferro a stringere saldamente le redini e ci vien voglia di abbracciarlo.
    La storia di accorciare le frange del tappeto che lui non sa essere prezioso, commuove. I giochi un tempo erano fatti di cose semplici, inventate magari sul momento con voli di fantasia.
    Grazie per questo racconto, forse fatto anche di ricordi personali che sei riuscito a rendere perfettamente.
    Ottimo lavoro <3 :emoticons-saluti-6.gif?w=593:
     
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    Scrivano

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    Ci sono cose che si capiscono solo crescendo. Il bambino pensava di aver fatto un lavoro bellissimo e si è trovato a vivere una delle più brutte esperienze che si possano fare a quell’età: vedere piangere la propria mamma. Un dispiacere che si infiltra sotto la pelle e che tutto sommato non passa mai. La madre è morta e quello che riaffiora alla memoria sono quelle lacrime che non avrebbe mai voluto fare versare.
    Hai ben descritto i ricordi e il racconto commuove e si fa leggere con simpatia.

    Attento alle parole troppo ripetute. Prova a usare i pronomi o qualche sinonimo, perché alla lunga le ripetizioni stancano e poi, in un contest dove il numero delle battute è contingentato meglio cercare di utilizzarle al massimo.

    CITAZIONE
    rise quella volta che le chiesi se era il marito della persiana che chiudevano alla sera affacciandosi alla finestra! Il tappeto era davvero molto grande: una volta con il cugino Antonio lo misurammo a capriole e avevo dovuto farne più di tre per non sentire più sotto la testa il pelo soffice del tappeto .

    CITAZIONE
    E poi saltare sul tappeto proprio lì sotto. Diventava anche una colorata pista da corsa, quel tappeto, per le automobiline che mi avevano regalato. Nel gioco le frange del tappeto si impigliavano nelle ruote delle automobiline e la nonna era sempre lì a rimproverarmi di non ingarbugliarle. Volevo proprio aiutarla a tenere in ordine le frange del tappeto persiano.

    Ti suggerirei di spostare la frase che quoto qui sotto, più avanti nel racconto. Poiché dedichi tanto spazio al taglio delle frange disturba un po’ che tu ne abbia parlato quasi subito e poi riprendi il discorso dopo. Non se mi sono spiegata. Sorry.


    CITAZIONE
    Ricordavo le emozioni del ragazzino che quel giorno voleva aiutare i nonni, anche se il nonno borbottò quando cominciai a tagliare il primo ciuffo di frange.
    «Taglio pochissimo, nonno» lo rassicurò quel ragazzino senza alzare la testa dal tappeto. «Aggiusto solo la lunghezza, come fa il barbiere con i miei capelli».

    Un tuffo tenero nel passato, ben collegati incipit ed excipit.
     
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    Mi hai fatto sorridere, tutti da bambini abbiamo combinato qualche danno a casa dei nonni che di solito perdonavano tutto ai nipotini, anche in questo caso a parte l'urlo, nessuna punizione.
    Un bel racconto, a parte alcune ripetizioni che ti hanno già evidenziato, la fase finale un colpo al cuore, quel bimbo divenuto adulto e la sofferenza per la perdita della mamma.
    Prova ben riuscita, complimenti.
     
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    Penna d'oca

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    Titolo interessante e singolare, cosa si nasconderà sotto il tappeto?. La storia si srotola bene proprio come un tappeto.
    La scrittura è semplice e incisiva. I dialoghi pochi ma incalzanti ed esaustivi.Questa frase, è proprio di un bimbo che vuole aiutare la sua nonna,«Aggiusto solo la lunghezza, come fa il barbiere con i miei capelli». Sembra una storia vissuta veramente, anche io mi ci ritrovai a vedere mia zia a sistemare sempre il tappeto, ma non mi sari mai sognata di tagliarne le frange. Geniale. Solo qualche riflessione. Mi chiedo, perché il personaggio principale non abbia un nome, ciò è veramente un peccato. Questo racconto ha un anima profonda, e genuina. Nella prossima revisione pensa a dare più corpo a questo simpatico bambino. In ed Ex pertinenti
     
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    Dio della penna

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    anche questo pezzo non mi dispiace, nonostante ci siano delle ripetizioni.
    la storia è triste, a mio parere, raccontando un episodio tragicomico, ricordato in un momento non certo facile, visto che la madre è morta.
    ci sono buoni spunti, alcuni divertenti e altri che fanno riflettere.
    però non mi ha preso del tutto, c'è qualcosa che non mi quadra e non riesco a capire cosa sia.
    forse è Daniela, che appare e scompare a tratti... non so.
    ottima la chiusura, con l'excipit perfettamente inquadrato nella storia
     
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