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Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo. La carta non era intestata e il messaggio non era firmato. Una carta normale, presa da un quaderno ordinario, una calligrafia minuta e precisa, di una donna probabilmente. La busta, comune anch’essa, non era stata affrancata. Qualcuno l’aveva messa nella pigeonhole del dipartimento. Chi era stato, si chiese, e perché? Controllò il nome sulla busta. Marcus Miller, il suo. Guardò nelle altre buche, per vedere se anche i suoi colleghi ne avessero ricevute di simili. Forse era lo scherzo di collega. Ma la busta l’aveva avuta solo lui. L’incipit più famoso al mondo, quello più citato. Perché glielo avevano mandato? Entrò nel suo ufficio, chiuse la porta e dispose il foglio sul tavolo come se fosse un problema di algebra lineare. La sua matematica non l’avrebbe aiutato, questa volta. A proposito, a quale delle due categorie apparteneva la sua di famiglia? Aveva sposato una collega del dipartimento di Letteratura Americana, più giovane di lui di circa dieci anni. Adele era sulla soglia dei quarant’anni, ed era ancora molto affascinante. E straordinariamente intelligente. Avevano una bimba bella come il sole, Lisbeth. Pensava fossero felici. Certo, poteva parlare solo per lui, in verità, e forse anche per sua figlia che gli sembrava serena e contenta, come peraltro a sette anni non è poi così difficile essere, se vivi in una famiglia normale. Ecco, pensò, noi siamo una famiglia comune, comunissima, addirittura banale. Se quello di Tolstoj, fosse un teorema, allora noi dovremmo essere una famiglia felice. Era ancora turbato quando entrò nella aula 3.12. Doveva spiegare ai suoi studenti il mistero attorno al teorema di Fermat. A tavola durante la cena, non ascoltava completamente i racconti di Lisbeth su quello che era accaduto a scuola. Guardava le sue donne e avrebbe voluto osservarle dentro, per vedere se fossero felici. Poi non ce la fece e lo disse. “Ma che bella famiglia felice che siamo!” Voleva vedere l’effetto che avrebbe fatto una affermazione del genere. Lo guardarono stupite e perplesse. Poi Lisbeth con un sorriso bellissimo e la luce negli occhi disse: “Felicissima e poi fra un poco e il mio compleanno”. Era una sua impressione o prima che indossasse anche lei un caldo sorriso, un’ombra aveva attraversato lo sguardo di Adele. Dopo cena sua moglie si chiuse nello studio, doveva correggere i saggi di mid-term dei suoi studenti, spiegò. Così Marcus si guardò un bel filmino Disney con sua figlia. Risero entrambi con voracità. Se non era quella la felicità, era qualcosa che gli assomigliava molto. Il giorno dopo, di nuovo Lui aveva detto proprio quello che il suo cuore voleva sentire e che la sua ragione temeva. Stessa carta, stessa busta, stessa calligrafia. Questa volta non riconobbe il brano. Lo dovette cercare su google. Sempre Anna Karenina, il che qualcosa doveva pur significare. Quando Anna si accorge che il gioco seduttivo di Vronskij ha aperto una falla nel suo cuore e capisce che la falla si allargherà inesorabilmente. La cosa la turba profondamente ma non le dispiace. Affatto. Qualcuno, qualcuna voleva dirgli qualcosa. Cosa? Che sua moglie era Anna e che viveva lo stesso turbamento del personaggio di Tolstoj? Banalmente e volgarmente che lo tradiva con un Vronskij di turno? Non poteva essere: non Adele. E perché non Adele. Cosa aveva di tanto diverso da tutte le Anne Karenina di questo mondo. Non avrà pensato anche Kerenin lo stesso della sua, di Anna. Tutti ci crediamo speciali, tutti siamo uguali a gli altri. E facciamo quello che fanno gli altri. Così fan tutte, per passare da Tolstoj a Mozart. La gelosia è un tarlo che corrode; anche questo, qualcuno l’avrà scritto da qualche parte. Lui pensava di essere immune. Non si era mai posto il problema. Anna, ma che Anna! - Adele gli avrebbe detto fra il serio e lo scherzoso che dipendeva dal fatto di essere troppo sicuro di sé. Ora aveva perso tutta la sua sicurezza. La gelosia ti trasforma, indebolisce e consuma. Ti cattura la mente e monopolizza i pensieri. Nella riunione che tenne nel pomeriggio con un gruppo di colleghi, fu del tutto assente. immaginava Adele far l’amore con Vronskij di tutte l’età, di tutti i colori e di tutte le classi sociali. Alzò lo sguardo verso i suoi colleghi: tutti, quasi tutti, in verità, gli uomini sembravano dei potenziali Vronskij. Rick Von Diers, il giovane e brillantissimo matematico tedesco, arrivato da un anno e mezzo si era già guadagnato la fama di seduttore seriale. Era venuto un paio di volte a cena a casa loro. E se fosse lui, il bastardo? A cena quella sera Adele fece scoppiare una bomba. “Ve lo ricordate, vero, che questo fine settimana, vado a Warwick per quel convegno sulla Poesia pre-shakespeariana?” Lui questa cosa non la ricordava affatto. La guardò dritto negli occhi con uno sguardo che voleva essere di rimprovero e di disgusto, ma che probabilmente appariva solo il riflesso del suo sentirmi triste e disperato. “Ma, mamma, il fine settimana non si lavora…” disse Lisbeth delusa. La mamma non va a lavorare, pensò, ma tenne tutto per sé. Quella sera fui lui ad andarsene nello studio dopo cena. Disse che doveva lavorare. Prese la bottiglia di Rum Agricola invecchiato 20 anni e iniziò lentamente a bere. Appena il rum cominciò a fare un po’ di effetto, gli tornò anche la voglia di fumare quei cigarillos leggeri che fumava da giovane, proprio quando il rum veniva messo ad invecchiare. Ma oramai anche quelli non li aveva più. Andò a letto tardi e quasi del tutto ubbriaco. Adele sembrava dormire. Ma appena si stese sul letto, gli sembrò che parlasse. “Hai bevuto? Oh, amore, non dovevi. Passerà” L’aveva detto veramente o era un prodotto della sua mente anestetizzata dall’alcool? Si girò a guardarla, aveva gli occhi chiusi e pareva proprio dormire. Il giorno dopo aveva un gran mal di testa e la buca delle lettere era vuota. E rimase vuota nei giorni a venire. Fu un periodo terribile. Si sentiva un vigliacco perché non l’affrontava a viso aperto chiudendole conto di tutto. Ma di tutto cosa, poi. Di due lettere anonime con brani di un romanzo russo di secoli prima? Dieci giorni dopo la prima, giunse un’altra lettera. Sessa carta, stessa busta, stessa calligrafia. Anna è morta e Tolstoj aveva torto. Le famiglie felici sono singolari. Sono il frutto di un lavoro unico e straordinario. Si sentii contento e sollevato, senza nessuna una reale ragione. La morte di Anna faceva parte del romanzo, ma a lui quella morte sembrava una rinascita. Era venerdì e sua moglie e sua figlia erano fuori per cena. Adele aveva accompagnato Lisbeth al cinema con le amiche e le loro mamme e poi a cena a casa di una di loro. Una serata fra donne, avevano detto. Trovò un biglietto sul frigorifero. Sua moglie gli scriveva che avrebbe trovato l’agnello con le patate arrosto nel forno. Gli aveva preparato il suo piatto preferito. Si accasciò sulla sedia e scoppiò a piangere. Non sapeva nulla ma aveva capito tutto. Usando solo la stessa calligrafia precisa, minuta e studiata delle lettere trovate in dipartimento, Adele aveva firmato le lettere, aveva detto tutto senza raccontare nulla. Adele aveva avuto il suo Vronskij. Ma ora era finita, una sbandata, si sarebbe chiosato in un romanzetto rosa. Il potere delle parole e della letteratura. Adele aveva avuto il suo Vronskij suonava molto meglio che dire che Adele avesse avuto un amante. Non avrebbe chiesto altro. Non avrebbe mai chiesto nulla di più. Non gli importava sapere chi fosse stato a interpretare il ruolo di Vronskij. O meglio, in cuor suo avrebbe voluto saperlo. Ma andava bene lo stesso; certe cose è meglio che rimangano nell’ombra. Era sicuro che Adele fosse tornata tutta sua. Il resto poco contava. In un matrimonio, pensò, la verità è sopravvalutata. L’importante è essere leali. A volte la verità confligge con la lealtà. Ma capire queste sottigliezze non è da tutti. Per questo è così straordinario esser parte di una famiglia felice. Adele era stata leale. La fedeltà, pensò Marcus, lasciamola ai cani. Di Anna e Vronskij, Marcus e Adele non parlarono mai più. Fra loro era stata già non detto tutto. Sono passati anni da quella vicenda, tanti, Marcus e Adele sono rimasti insieme e sono stati e sono felici, avrebbe detto Tolstoj e lo avrebbero confermato i loro amici. Lisbeth li ha fatti diventare dei nonni, felici ovviamente. I loro tre nipoti, due maschietti e una femminuccia, benché già adolescenti, sono ancora troppo piccoli per leggere Tolstoj e per conoscere Anna Karenina. Col tempo, sperava Marcus, avrebbero capito anche loro il segreto della felicità. È possibile parlare d’amore alla soglia degli ottant’anni? Beh, è proprio quello che accade nelle coppie felici. D’altra parte, di cosa altro possono parlare Marcus e Addie? Addie, è così che Marcus chiama sua moglie nell’intimità. Del tempo, forse? E perché no? In fondo rimangono sempre una coppia d’inglesi. Di cosa vuoi parlare stasera? Addie guardò fuori dalla finestra. Vedeva il proprio riflesso sul vetro e l'oscurità subito oltre. Fa freddo lì stasera, tesoro?
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