Rilancio

aut. mangal

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    Dio della penna

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    La vita è fatta di piccole felicità insignificanti, simili a minuscoli fiori. Non è fatta solo di grandi cose, come lo studio, l'amore, i matrimoni, i funerali. Ogni giorno succedono piccole cose, tante da non riuscire a tenerle a mente né a contarle, e tra di esse si nascondono granelli di una felicità appena percepibile, che l'anima respira e grazie alla quale vive.
    Talvolta appaiono per qualche istante e riesci a vederli quanto basta per sentirti contento, gioioso, anche se non ne conosci il motivo esatto.
    Può capitare però che alcuni di questi granelli, quando vengono deliberatamente ignorati, diventino sassi, pietre, macigni. Duri e pesanti, possono franare…

    Era innegabilmente un buon periodo. Certo non si navigava nell’oro, ma avere lavoro fisso, una bella moglie e una bimba di pochi anni, faceva sì che la visione del mondo fosse piuttosto rosea.
    Tornare dal turno di servizio e venire accolti dal sorriso di Cinzia e dalle grida di gioia di Laura mi procurava quella che potremmo definire felicità; momentanea, ovvio, ma la felicità è fatta di attimi, non di una vita intera, e quegli attimi io li apprezzavo e me li godevo appieno.
    E la vita scorreva dolcemente tra casa e lavoro, come in ogni bel film, solo che un giorno accadde un fatto all’apparenza innocuo, ma che si sarebbe rivelato micidiale per gli anni a venire. I miei, ma anche quelli delle mie donne.

    Rientrando dal lavoro trovai la strada statale chiusa per lavori e presi quindi una via alternativa. Ne conoscevo parecchie, essendo nato e cresciuto in loco, ma decisi di prendere quella, purtroppo.
    Mi fermai a un bar tabacchi per fare scorta di sigarette e decisi di prendere un aperitivo.
    Col bicchiere in mano, cercando di gustarmelo con calma, presi a girare il locale, che solitamente non frequentavo, e mi trovai ad assistere a una partita di ramino rilancio.
    Un gioco che conoscevo ma che non avevo mai considerato nel modo in cui lo vedevo ora.
    Rimasi affascinato nel vedere le puntate, le giocate, i rilanci tipo poker, e il tempo mi volò.
    Quando mi resi conto dell’ora, salii sulla Vespa e mi diressi verso casa, dove ebbi il primo scontro della mia vita con Cinzia. Non sarebbe stato l’ultimo, ma non lo sapevo.

    «Ale, ma dove sei stato finora? Stavo pensando male, sai?»
    «C’era la strada chiusa per lavori, amore, ho dovuto fare un altro giro.»
    Mi guardò di sbieco ma non aggiunse altro. Non le servivano parole, bastavano i suoi occhi…
    Per un paio di giorni tornai regolarmente, arruffianandomi per farmi perdonare. Ci riuscii, ma il richiamo delle carte si faceva insistente e cominciai a frequentare quel bar.
    Dapprima in modo saltuario e per breve tempo, fino a quando capitò che mancava un giocatore e mi proposi.
    Vinsi seimila lire, una bella cifra all’epoca, considerando che giocavamo a cento lire al colpo. Ebbi fortuna. A casa, Laura era felice di vedermi, ma Cinzia non aprì bocca e sebbene provassi in tanti modi a farle dire qualcosa, cenammo in silenzio. Che tristezza…

    Ciò nonostante, il giorno dopo mi fermai di nuovo a giocare, e anche in quelli successivi.
    Era un venerdì, ora di cena, quando rientrai e trovai le mi due donne già a tavola. Le guardai, attonito.
    «È inutile che rientri di corsa, Ale, noi avevamo fame e abbiamo mangiato. Tu arrangiati.»
    Feci quanto suggerito e mi preparai qualcosa, ma appena mi sedetti a tavola, lei si alzò e cominciò a sparecchiare. Lo sguardo di mia figlia era eloquente: arrabbiatissima.
    Più tardi, a letto, cercai di aprire un dialogo, ma Cinzia cominciò a piangere e mi disse: «Quindi non ti basto io? Con chi ti vedi?»
    Rimasi sbalordito per un istante, poi sorrisi.
    «Ma no, tesoro, con nessuna. Non è come pensi tu» e le spiegai che giocavo a carte. A soldi.
    Pensavo di averla allietata e invece peggiorai la situazione.
    «Avrei preferito un’altra donna piuttosto che venire tradita col gioco…»
    «Ma io non ti tradisco, Cinzia.»
    «Oh, sì, che lo fai, Ale. Scegliendo il tavolo invece che noi due ci tradisci entrambe.»
    «Ora direi che stai esagerando, però…»
    «Vedi tu» ribatté. Poi si volse e provò a dormire.
    Mi sentivo combattuto. Una parte di me era consapevole del fatto che stavo dedicando poco tempo alla mia famiglia, ma un’altra parte, e in quel momento era la più forte, diceva che mi stavo semplicemente divertendo.
    E decisi di continuare a farlo.

    Per un buon periodo di tempo ignorai i comportamenti di Cinzia e Laura, fermandomi ogni giorno a giocare a ramino. Vincevo, perdevo, era un alternarsi di gioie e dolori, al tavolo. Ed ero talmente preso che non mi rendevo minimamente conto di quale danno stessi provocando. In pratica, in quel periodo, esisteva solo il ramino rilancio, oltre al lavoro.
    Una sera, rientrando, non trovai nessuno. Al momento pensai che Cinzia fosse andata a fare spesa portandosi Laura, ma appena entrato vidi un foglio sulla tavola.
    Stavamo bene insieme, una volta. Ora non più.
    Così c’era scritto.
    Mi arrabbiai.
    «Questo sì è un tradimento» esplosi, «non il mio!»
    Commisi un altro errore assurdo quando pensai di vendicarmi giocando ancora di più.
    Ogni giorno mi fermavo là. Al lavoro non vedevo l’ora di finire il turno per potermici recare. Cominciai a perdere sempre più, ad arrabbiarmi per nulla, e chi giocava con me se ne era accorto e alcuni mi provocavano di proposito, facendomi uscire dai gangheri e sbagliare le giocate.
    Mi volevano sempre al tavolo, sapendo che ci avrei lasciato parecchio.
    Ad aprirmi finalmente gli occhi furono due cose: l’estratto conto della banca, impietoso, e una busta arrivata lo stesso giorno contenente una foto di Cinzia e Laura. Ebbi un sussulto e scoppiai a piangere; non le vedevo e sentivo da due settimane, mi ero completamente estraniato, tuffandomi nei colori delle carte da gioco. E neppure mi ero mai chiesto dove fossero andate, visto che Cinzia non aveva parenti in zona. Forse da qualche amica…
    Presi il telefono e cominciai a chiamare quelle che conoscevo. Al quarto o quinto tentativo, non ricordo di preciso, mi rispose Elena e dopo che le ebbi chiesto se per caso fosse da lei, ripose: «Ma vergognati, Alessio, chiami dopo quindici giorni e vuoi che te la passi? Vieni a prendertela, se hai dignità.»
    Elena depose la cornetta lasciandomi solo col rimorso e ripresi a piangere. Almeno sapevo dov’erano.
    Ora però dovevo raccogliere tutto il coraggio di cui disponevo e andare da loro, non potevo non farlo, sarebbe stato come darsi l’ultima mazzata, quella finale.

    Parzialmente rigenerato da una doccia, tremando per la tensione mi recai a casa di Elena; suonai il campanello e la tenda di una finestra si spostò rivelando il viso di mia moglie. Vederla mi fece male al cuore e svenni.
    «Per me sta facendo finta…» sono le prime parole che udii al risveglio. Aprii gli occhi.
    «Mamma, è sveglio, mamma…» Laura.
    «Ale, ti senti bene? Chiamo il dottore?» Cinzia.
    Sorrisi, cercando al contempo di alzarmi da terra, ma le gambe tremavano, non mi reggevano. Piansi.
    La cosa più bella fu l’abbraccio della mia donna, quella che io avevo relegato in un angolo della vita, ormai, dimenticando tutti quegli attimi di felicità che mi donava ogni giorno, insieme alla nostra bimba.

    Alcuni giorni dopo, di ritorno dal lavoro, passai volutamente davanti al bar che mi aveva visto cadere così in basso. Mi fermai e diedi un’occhiata. Erano là, al tavolo, i miei compagni di vizio. Loro avevano solo la colpa di avermi accettato, eppure in quel momento li odiavo. Avevo voglia di urlare, volevo gridare, volevo stracciarmi i polmoni con tutta la forza dello stomaco, spaccandomi la trachea, con tutta la voce che la gola poteva ancora pompare: “Maledetti bastardi, sono ancora vivo!”
     
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    Un racconto scorrevole che, in poche parole, attraverso i momenti più salienti, narra la caduta nel gioco e l'uscita dalla dipendenza, il tutto causato da un evento apparentemente innocuo, come dei lavori su una strada.
    L'aspetto secondo me più interessante è proprio questo: quanti eventi insignificanti della nostra vita ci portano su un sentiero totalmente diverso da quello che stavamo percorrendo? E quanto sarà influente questa deviazione?
    Una bella domanda a cui questo racconto dà risposta analizzando una delle migliaia di possibilità a cui quel cambio di rotta avrebbe potuto condurre.
    Lo stile è chiaro e pulito, ottima la correttezza lessicale e sintattica.
    Mi è piaciuto molto anche il modo in cui il flusso narrativo si snoda senza intoppi da un paragrafo all'altro, narrando un lasso di tempo molto lungo in pochi caratteri.
    A livello stilistico, la gestione spazio-temporale è la vera perla di questa storia.
    Complimenti.
     
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    La vincita al gioco è come festeggiare tre volte di seguito il proprio compleanno, solo chi l'ha vissuta può capire lo smarrimento del protagonista. Che poi lui è fortunato, conosce solo quella sfaccettatura, ma il gioco ha mille bocche, mille aspetti, e chi ci cade dentro li esplora tutti. Mi viene in mente un lungo viaggio a Cagnes Sur Mer, solo per esplorare le perdite in un ippodromo diverso da quello della mia città. Come se per i giocatori sconosciuti fosse più facile passare alla cassa.
    Perdona la divagazione. Il tuo racconto fa capire bene il costo umano del vizio, anche se la reazione della donna appare esagerata, e pure quella dell'uomo, che sicuramente non ha la viltà del giocatore, tutt'altro, diventa tenero e commovente.
     
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    CITAZIONE (tommasino2 @ 29/11/2020, 13:12) 
    La vincita al gioco è come festeggiare tre volte di seguito il proprio compleanno, solo chi l'ha vissuta può capire lo smarrimento del protagonista. Che poi lui è fortunato, conosce solo quella sfaccettatura, ma il gioco ha mille bocche, mille aspetti, e chi ci cade dentro li esplora tutti. Mi viene in mente un lungo viaggio a Cagnes Sur Mer, solo per esplorare le perdite in un ippodromo diverso da quello della mia città. Come se per i giocatori sconosciuti fosse più facile passare alla cassa.
    Perdona la divagazione. Il tuo racconto fa capire bene il costo umano del vizio, anche se la reazione della donna appare esagerata, e pure quella dell'uomo, che sicuramente non ha la viltà del giocatore, tutt'altro, diventa tenero e commovente.

    eppure si rifà a una storia vera, sai?
     
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  5. Viviana Monroy
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    Mi ha ricordato il film Sliding Doors, uguale uguale.
    Punteggiatura da rivedere, la trama non mi ha detto granché.
     
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    CITAZIONE (Viviana Monroy @ 30/11/2020, 06:56) 
    Mi ha ricordato il film Sliding Doors, uguale uguale.
    Punteggiatura da rivedere, la trama non mi ha detto granché.

    dici? eppure sliding doors era così:
    Helen arriva tardi in ufficio e viene licenziata. Decide di tornare in anticipo a casa ma arrivata alla metropolitana la storia si sdoppia: c'è Helen che perde il treno e che viene aggredita ma c'e' anche la Helen che riesce a salire sulla metro.

    forse sbagli film, o forse sei solo talmente arrabbiata che non ti rendi conto di cosa stai scrivendo
    vuoi che metta la versione originale del tuo racconto? tranquilla, dammi l'ok e lo faccio.
    poi, però, non ti lamentare.
    e magari, già che ci sei, cerca di capire cos'è la punteggiatura.
     
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    Un tema complesso quello della dipendenza dal gioco d'azzardo, ma qui viene ben reso. Il racconto é scorrevole e incalzante, la storia lineare.
    Mi sono piaciuti i dialoghi diretti e credibili, non mi é piaciuto molto lo sfinimento finale (forse un po'eccessiva)

    In ogni caso, è stata una buon lettura. Complimenti
     
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    Il vizio del gioco. Un bel dramma nella vita di una famiglia. Un demone capace di spezzare i legami più forti, di piegare la volontà di chi casca in questo tipo di malattia. Per lavoro, purtroppo, conosco una quantità di ludopatici, sempre al verde, spesso preda di usurai, vite strappate agli affetti.
    È piena di speranza la tua storia, speranza che una buona dose d’amore riesca a interrompere quella spirale malefica. Amore, amici, impegno. Le uniche “medicine” per questa malattia devastante e troppo spesso sottovalutata.
    Ben riuscito l’aggancio sia con l’incipit che con il grido liberatorio del l’excipit.
    Ti segnalo un piccolo refuso.
    CITAZIONE
    le mi due donne già a tavola
     
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    Penna d'oca

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    Quanti drammi, quante vite e famiglie distrutte dalla ludopatia! E spesso tutto nasce da un evento casuale, come una strada interrotta. Il racconto si srotola con fluidità rendendo la lettura piacevole, riuscendo a tenere alta l’attenzione. Forse un po’ troppo melodrammatici l’abbandono da parte di moglie figlia e lo svenimento (ma il contingentamento imposto costringeva a cercare soluzioni concentrate), mentre liberatorio il perdono dato da una grande donna, evidentemente innamorata. Scritto in buon italiano (finalmente qualcuno c’è). Decisamente bello! A mio avviso avrei scritto ‘presi a girare per il locale’.
     
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    Un bel racconto, il vizio del gioco è una malattia, una dipendenza che galvanizza il giocatore quando vince ma lo demolisce quando perde
    e per recuperare le perdite continua a giocare rovinando se stesso e la famiglia, il tuo personaggio ha avuto la forza di reagire e smettere
    facendo prevalere l'amore, salvando se stesso ricomponendo famiglia.
    Incipt e excipit ben amalgamati calzano perfettamente sia all'inizio che alla fine.
    Prova ben riuscita, complimenti!
     
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    Penna suprema

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    Perdonami, ma credo che il giocatore giochi solo per giocare.
    Per sentirsi qualcuno. Per sentirsi importante.
    A un certo punto non gli importa più nemmeno vincere.
     
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    Penna d'oca

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    Tommasino, credo dipenda dal carattere; io sono più convinto dalla tesi di genoveffa
     
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    Penna suprema

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    Quel mondo l'ho esplorato a lungo. I giocatori sono tutti simili. Poi mi sono sposato, è nata la mia prima bimba, e non ho giocato più, nemmeno a tombola a Natale.
     
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    Penna d'oca

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    Ciao!

    Il gioco è davvero una brutta bestia, e la cosa terribile è che è una dipendenza legale e nessuno ti ferma (come non ti fermano al terzo calice in mezz'ora).
    E' un racconto che mi è piaciuto perché ci sono pochi fronzoli, e fa riflettere su quanto un piccolo gesto possa cambiare le cose.
    Secondo me, nel complesso, il racconto merita qualche battuta in più: immagino tu abbia fatto delle scelte per rimanere nelle battute consentite, ma se fossi in te ci rimetterei le mani su per allungarlo un po' e rendere i vari episodi più ricchi e pieni.

    Complimenti!
     
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    Penna stilografica

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    Tema molto attuale, con la proliferazione delle macchinette in ogni bar. Spero che il lockdown abbia almeno il merito di aver disintossicato i ludopatici. Il racconto ha per protagonista proprio uno di loro, e ci fa vedere, abbastanza efficacemente, l'abisso in cui si infila e in cui infila anche la sua famiglia. Ci suscita il giusto orrore della cosa e ci fa trepidare per le sorti del poveraccio e dei suoi congiunti. Il lieto fine addolcisce un po' la bocca.
    Sul piano narrativo lo sviluppo è lineare, segue il tempo del narrato, senza analessi e con una sola prolessi ("che si sarebbe rivelato micidiale per gli anni a venire"), anticipazione che suscita curiosità nel lettore, lo aggancia (gli anglosassoni non per nulla chiamano "hook", gancio, amo, gli elementi che afferrano il lettore e lo inducono al proseguimento della lettura). Amo messo al punto giusto, che non svela nulla di quello che succederà, ma che mette il lettore in stato di inquietudine. Anche la narrazione lineare, cronologica, è ottima per questo tipo di storie.
    Lo sviluppo narrativo però è un po' troppo raccontato, limitato all'esposizione informativa di quello che succede. Lo avrei preferito più vissuto, più fatto di suggestioni, di gesti rivelatori dell'interiorità del protagonista.
    Anche la reazione della moglie al primo ritardo mi è sembrata eccessiva. Giusta la sua apprensione e l'irritazione.
    E infine la presa di coscienza di Ale non è spiegata. Il travaglio interiore non è minimamente accennato.
    Ovviamente le scelte stilistiche le fai tu, Mangal, ma al lettore, così come sono appaiono fredde, poco coinvolgenti. Prova a introdurre qua e là, fra le azioni, qualche particolare che permetta al lettore di vedere dentro i personaggi.
    Infine non vedo pecche né nella punteggiatura (dove non ci sono solo regole prescrittive, ma anche opportunità descrittive), né nel lessico e nella sintassi. In alcune frasi forse si sarebbe potuto usare il trapassato: "Rientrando dal lavoro avevo trovato (invece del trovai usato dall'autore) la strada...", ma sono quisquile. D'altra parte il trapassato è più defunto del congiuntivo nella scrittura odierna.
     
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