Rilancio

aut. mangal

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    Scrivano

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    Buon racconto, semplice e lineare nello svolgimento, la ludopatia distrugge veramente la vita delle persone, e in questo racconto lo si capisce molto bene. I personaggi sono ben delineati, forse lo svenimento finale è un po' melodrammatico, ma tutto sommato nella vicenda non stona. Un buon lavoro. Bye. :)
     
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    Soldato semplice

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    La ludopatia è una malattia che assale le persone fragili, ho conosciuto una persona mite, buona. semplice che aveva una doppia vita legata al gioco. Il tuo racconto ci dice come può colpire in maniera inattesa , basta un pretesto , l' occasione. Scrittura lineare che accompagna la storia fino alla fine e ci sta ad hoc quel guizzo finale... Sono ancora vivo.
    La parte che mi ha convinto meno è quella della moglie che va via e lui sembra accorsene dopo molti giorni.
    Nel complesso un buon racconto. :emoticons-saluti-6.gif?w=593:
     
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    Penna furiosa

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    Samboseto di Busseto (Ma nata a Parma)

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    Trovo che tu abbia spiegato bene quanto sia facile cadere nel vizio.
    E' solo una partita, che sarà mai? E' solo un bicchiere, cosa vuoi che sia?
    Ricordo un noto presentatore radiofonico che purtroppo ci è caduto con tutte le scarpe solo perchè, quando aveva otto o dieci anni, era andato a una corsa di cavalli con un parente
    e avevano scommesso. E aveva vinto. Lui affermava che quello fosse stato il problema: se vinci la prima volta, poi pensi che ti capiterà per sempre.

    A parte queste discussioni filosofiche, il racconto scivola via bene e coinvolge il lettore.
    L'unica cosa che mi ha lasciato un po' perplessa è il terzo personaggio che nomini: Elena.
    E mo' chi è quest'Elena, che me la presenta così, come se fossimo vecchi amici? Ho provato a rileggere il testo ma non mi risulta nessuna Elena.
    Mi ha spiazzato. Perchè non hai usato un termine generico tipo 'la suocera', l'amica o la cugina ? Perchè dotare questa persona di nome proprio
    senza, per altro, far sapere chi sia? Per scoprire il nome della figlia sono arrivata all'ultima riga (quasi), e questa sconosciuta mi arriva prima?

    Mi sembra anche esagerato che lui svenga quando vede la moglie dietro la tendina della finestra, ma è funzionale e va bene così.
    Incipit ed Excipit fusi in modo naturale nel racconto; che tu sia bravo con le parole non è una novità.

    Alla prossima.
     
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    Penna furiosa

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    CITAZIONE (tommasino2 @ 30/11/2020, 15:21) 
    Perdonami, ma credo che il giocatore giochi solo per giocare.
    Per sentirsi qualcuno. Per sentirsi importante.
    A un certo punto non gli importa più nemmeno vincere.

    La penso come Tom su questa cosa.
    Chi gioca più che vincere vuole dimostrare di saperci fare, di avere ragione nelle scelte che fa, di essere il più bravo di tutti.

    Passando al racconto, da ex giocatore ho apprezzato l'episodio di partenza, il caso, quella strada chiusa che ha dato inizio all'odissea del protagonista.
    Mi è piaciuto(nel senso che lo trovo coerente) il suo estraniarsi da tutto, dalla famiglia, concentrarsi solo sul gioco, perché quando il gioco prende la mano diventa la prima cosa a cui uno pensa. Quindi anche dimenticarsi della moglie per due settimane lo trovo plausibile, poiché ogni altra cosa passa in secondo piano. Lo svenimento del protagonista è esagerato? Magari sì, ma non impossibile. Con tutte quelle emozioni violente(vincita e perdita al gioco, litigi in famiglia, l'abbandono, la possibilità di riguadagnare gli affetti perduti) concentrate in un lasso di tempo limitato la cosa non mi stupisce troppo.
    La critica, o meglio l'appunto, che mi sento di fare è che è molto raccontato, quasi cronachistico. Sì, i dialoghi ci sono, ma sono tutti riservati all'aspetto famigliare. L'aspetto del gioco, del vizio, ce lo mostri come attraverso una barriera, non dal di dentro. Sarebbe stato bello farcelo vedere al tavolo, in una situazione vincente e una perdente, con le sue godurie e le sue incazzature feroci.

    Adesso vado, che tra un pò inizia l'Europa League e devo andare a giocare la bolletta... ;P Dai scherzo, non è vero
     
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    CITAZIONE (tommasino2 @ 30/11/2020, 15:21) 
    Perdonami, ma credo che il giocatore giochi solo per giocare.
    Per sentirsi qualcuno. Per sentirsi importante.
    A un certo punto non gli importa più nemmeno vincere.

    non riesco a concordare del tutto con te, tom.
    sono stato un giocatore, per questo lo dico
     
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    Le capacià di scrittura sono note e notevoli. Tutto scorre bene.
    Ma, perdonami boss, la storia non regge. Non descrive bene la psicologia del giocatore che è articolata e complessa, Non basta veder giocare. Anzi i giocatori compulsivi non vedono mai gli altri giocare. Il gioco è sempre in prima persona. Per questo purtroppo ci sono persone sole e disperate davanti alle slot machine nei bar.
    Il gioco è una droga vera e propria.
    E poi il confortante e, quindi noiso, happy ending (che quasi ami accade senza una terapia appropriata o senza un fatto drammatico che non è l'assenza della moglie per 15 giorni). Ti propongo un altro finale.

    CITAZIONE
    Alcuni giorni dopo, di ritorno dal lavoro, passai quasi inconsapelmente davanti al bar dove andavo a giocare. Vidi una carta volare già dal tavolo, una mano esultare e una donna imprecare. Erano là, al tavolo, a giocarsi la vita. Erano vivi.
    Malediciendo me stesso parcheggiai. Avevo voglia di urlare, volevo gridare, volevo stracciarmi i polmoni con tutta la forza dello stomaco, spaccandomi la trachea, con tutta la voce che la gola poteva ancora pompare: “Maledetti bastardi, sono ancora vivo!”
     
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    Dio della penna

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    CITAZIONE (gipoviani @ 3/12/2020, 20:06) 
    Le capacià di scrittura sono note e notevoli. Tutto scorre bene.
    Ma, perdonami boss, la storia non regge. Non descrive bene la psicologia del giocatore che è articolata e complessa, Non basta veder giocare. Anzi i giocatori compulsivi non vedono mai gli altri giocare. Il gioco è sempre in prima persona. Per questo purtroppo ci sono persone sole e disperate davanti alle slot machine nei bar.
    Il gioco è una droga vera e propria.
    E poi il confortante e, quindi noiso, happy ending (che quasi ami accade senza una terapia appropriata o senza un fatto drammatico che non è l'assenza della moglie per 15 giorni). Ti propongo un altro finale.

    CITAZIONE
    Alcuni giorni dopo, di ritorno dal lavoro, passai quasi inconsapelmente davanti al bar dove andavo a giocare. Vidi una carta volare già dal tavolo, una mano esultare e una donna imprecare. Erano là, al tavolo, a giocarsi la vita. Erano vivi.
    Malediciendo me stesso parcheggiai. Avevo voglia di urlare, volevo gridare, volevo stracciarmi i polmoni con tutta la forza dello stomaco, spaccandomi la trachea, con tutta la voce che la gola poteva ancora pompare: “Maledetti bastardi, sono ancora vivo!”

    grazie per la proposta, ci può stare benissimo.
    che il gioco sia droga te lo confermo in prima persona, essendoci stato dentro appieno.
    che non sia ben esposta la psicologia del giocatore è altrettanto vero, ma servirebbe un romanzo intero per spiegare
     
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    Racconto che ho letto tutto d'un fiato. E mi è piaciuto. L'autore ha saputo ben dosare le situazioni e le emozioni del protagonista e dei suoi familiari. Credo sia questo il punto centrale su cui si debba riflettere. Alessio è caduto nel vizio del gioco e, quando tutto sembrava perduto (gli affetti, la famiglia), ha trovato la forza per reagire e uscirne. Come l'abbia fatto, che sia svenuto o meno, poco importa, ce l'ha fatta. Ma quanti Alessio ci sono che non hanno avuto nessuno da perdere per cui la rovina è stata solo personale, senza coinvolgere indirettamente nessun altro? E quanto è insondabile l'animo umano per cui la consapevolezza delle proprie azioni venga completamente offuscata da questo demone all'apparenza implacabile? Probabilmente le mie sono domande che resteranno senza risposta. E dico di più: probabilmente sono anche quesiti banali e inutili, poiché personalmente non ho mai vissuto in prima persona il disagio psicologico che provocano certi vizi, né ho avuto persone a me care con questo problema. Non so, l'argomento è spinoso e profondo, per cui non mi sento di sbilanciarmi in questo senso. O meglio, e mi scuserete, sono combattuto: a volte penso, cazzo, ma se non vuoi farlo non lo fai, se stai mandando tutto a puttane non lo fai. Altre volte penso che se è una malattia, in quanto tale il soggetto colpito non se ne rende conto. E se non viene aiutato è la fine. Mi scuso ancora per le mie riflessioni forse troppo "di pancia".
     
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    La malattia del gioco, se è una cosa personale diventa grave e disprezzabile. Ma se tu arrivi al bar e trovi gente con il caffè, le sigarette, sul tavolino e il cavallo(giornale) in mano e il primo saluto che ti fa è 'Chi ti piace?' Diventa, il gioco, una follia collettiva comprensibile. E il gioco delle carte è solo un preambolo dove dimostrare la tua intelligenza, la tua abilità, più vinci e più sei rispettato in quel sottoscala dell'umanità, che è il bar. Vissuto tutto di persona prima di scomparire da quell'ambiente grazie a un cuore femminile e a un lavoro serio che mi tenesse occupato.
    Chiedo scusa per l'intervento, ma l'argomento mi ha toccato molto e cerco di risolvere alcune perplessità.

    Edited by tommasino2 - 4/12/2020, 09:25
     
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    Il titolo mi faceva vagare con la fantasia.
    L'inizio sembrava un racconto introspettivo, una pagina di un vecchio diario. Poi, con forza mi scaraventa in uno dei temi scottanti dei giorni nostri. Il gioco, che ha rovinato famiglie e generazioni. Lo stile e la padronanza del linguaggio infatti non mi aveva svelato dove mi stava conducendo l'autore. La famigliola da mulino bianco in effetti non esiste, ma i piccoli avvenimenti quotidiani, la possono avvicinare. I personaggi li possiamo trovare nella nostra quotidianità.
    La conclusione è la classica e vissero tutti felici e scottati, già scottati da una pausa negativa, ma che si cancellerà quanto prima, grazie all'amore. PS peccato non aver sviluppato un pochino di più gli amici di gioco. Ottimo In Ex
     
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    Penna d'oca

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    Bel racconto con uno degli Excipit meglio integrati in assoluto.
    Sebbene il finale possa apparire un po' sdolcinato e troppo buonista a me è piaciuto molto proprio per il contrasto con il lento procedere verso il baratro da parte del protagonista nella prima parte che crea nel lettore un'angoscia ben dosata.
    E' un racconto vero e credibile che fa capire come chiunque , anche il più insospettabile possa cadere vittima del gioco e del vizio.
    Un solo appunto linguistico:
    CITAZIONE
    «Per me sta facendo finta…» sono le prime parole che udii al risveglio. Aprii gli occhi.

    avrei preferito "furono le prime parole..."
     
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    La frase scritta all'inizio:
    "Può capitare però che alcuni di questi granelli, quando vengono deliberatamente ignorati, diventino sassi, pietre, macigni. Duri e pesanti, possono franare..."
    mi ha colpito molto e nello stesso tempo ho iniziato a leggere il tuo racconto con molta curiosità nel capire che cosa, questi granelli ignorati, potessero causare nella vita dei personaggi della storia.
    La storia è molto semplice, con un tema che raramente viene trattato: quello del gioco. Infatti, come fa Cinzia, tra una coppia ci si aspetterebbe un tradimento da parte dell'altro. Invece in questo caso è il vizio del gioco delle carte la causa scatenante dell'abbandono del marito da parte della donna...
    Nelle parti dialogate manca chi dice cosa e come; sembra un botta e risposta e invece andrebbero aggiunte delle specificazioni anche nei dialoghi. I personaggi sono ben caratterizzati (solo non ho capito chi è Elena...).
    Bella la citazione: "la felicità è fatta di attimi, non di una vita intera" che condivido in pieno.
    Il racconto è stata una piacevole lettura , ma la trama non mi ha coinvolto più di tanto. Mi aspettavo qualcosa di più da un inizio che dava maggiori aspettative nel lettore.
     
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    Penna d'oca

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    A me è piaciuto molto, l'idea buona e il messaggio che passa pure, come sempre non giudico la tecnica, non ne sono capace, ma i racconti di questo tipo si leggono facile e restano impressi, complimenti!
     
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    Penna stilografica

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    Mi hai fatto tornare a galla i miei bei giorni di quando giocavo a poker (e pure a strip-poker ma quella è un'altra storia) e mi rinchiudevo anche 24 ore nel retro di un bar milanese tra sabato e domenica. A volte le partite proseguivano fino a lunedì mattina e poi...andavo a lavorare (in auto non ho mai avuto una Vespa!). A me il gioco ha lasciato sempre dei bellissimi ricordi. Che emozione sbattere le carte sul tavolo e prendere tutto il piatto. Una volta persi tutto lo stipendio di un mese ma anche lì l'emozione è stata fortissima. Non ero ancora sposato e nessuno (diciamo la verità: vivevo ancora con mia mamma) mi ha mai abbandonato. Ma perchè scrivo tutto ciò quando invece dovrei commentare il tuo racconto? Perchè è colpa tua che mi hai fatto ricordare, e così bene che, dopo cinquanta anni, ecco i ricordi tornare a galla. Ti ho letto perciò ben volentieri anche perchè è facile leggerti, a parte quel toscano "le mi due donne" non c'è veramente nulla da segnalarti. Bravo The Man.
     
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    Penna furiosa

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    ciao.
    Il tuo racconto mi ha convinto.
    Letto d’un fiato, liscio e senza intoppi.

    La storia, ci credo, è vera e simile a tante altre, purtroppo.

    Buono l’aggancio con l’incipit, ottimo con l’excipit, uno dei migliori.
    L’unica cosa che mi lascia un po' perplessa perché poco approfondita,
    (per le poche battute a disposizione credo), è come faccia a ritornare sui suoi passi,
    cioè quando capisce che il vizio gli sta distruggendo la vita.

    Ad aprirmi finalmente gli occhi furono due cose: l’estratto conto della banca, impietoso, e una busta arrivata lo stesso giorno contenente una foto di Cinzia e Laura.

    Credo che la foto delle sue donne o il rimprovero dell’amica Elena non siano sufficienti...
    Comunque, se così è stato meglio per lui che il vizio del gioco non l’abbia devastato.
     
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