Scrittori per sempre

Posts written by G.Leroux

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    Veramente una bella scrittura… “raffinata” come ha definito giustamente Genoveffa, con un uso sapiente di aggettivi che cadono senza strafare, mai fuori luogo, come le decorazioni di un miniaturista. Il passaggio repentino dalla contemplazione alla tragedia diventa così più sopportabile per il lettore.
    E’ il secondo racconto che leggo, dopo quello di B.&S. e nonostante gli stili di scrittura completamente diversi, ho trovato un punto di contatto interessante: l’uccisione dell’uomo violento da parte della donna. In entrambi i racconti non ho fatto in tempo a pensare: “finalmente le parti si sono invertite. Giustizia è fatta”. Invece, no. Per Agnès, come per Adelaide, quell’atto in fondo più che comprensibile, diventa fonte di dannazione eterna, che qui sfocia addirittura nel suicidio della protagonista perché “Non ce la faceva a vivere con la sua colpa, perché un’anima pura prende sopra di sé l’orrore della vittima e del carnefice”.
    Scelgo per evidenziare il tuo lo stile elegante di scrittura la frase iniziale: la sabbia scivola dalle mie dita leggera”. Avresti potuto dire ugualmente “la sabbia scivola leggera dalle mie dita” oppure “la sabbia leggera scivola dalle mie dita” e invece hai scelto quella forma che più si avvicinava alla poesia.
    Anche “persiane schiuse” e non semplicemente “aperte” va nella stessa direzione.
    Bella l’espressione: “Lo sguardo era diventato stretto”. Rende bene l’idea. Cosi come la similitudine “come una tartaruga appena nata, sono scappata verso il mare”
    Qualche nota di poco conto:
    Rivedrei la frase “Mi aveva invitata a bere qualcosa, al tramonto, per guardare il mare, la luna che si specchiava, per spegnere la nostalgia della mia terra, diceva, della mia gente.” che mi pare un po’ troppo contorta.
    Anziché ”in vacanza alle Mauritius” direi “in vacanza a Mauritius”

    Edited by G.Leroux - 8/12/2020, 17:26
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    Un bellissimo esempio di flusso di coscienza che affronta con crudezza e realismo uno dei temi principali dei nostri tempi e della nostra vita sociale. Il ritmo della scrittura contribuisce a dare drammaticità al testo, già di per se molto drammatico.
    Ho trovato quegli "occhi" i veri protagonisti della storia, "Occhi che non ricambiano mai uno sguardo, spesso rivolti in basso o spostati verso un qualsiasi remoto altrove".
    E sono quegli occhi che esprimono prima disperazione e disagio e successivamente il riscatto.
    Ho apprezzato molto anche il messaggio che "non è il dolore che ti infliggono che ti segna davvero, ma quello che infliggi tu".
    Non trovo difetti formali di alcun tipo. Per essere proprio pignoli avrei usato un'altra espressione al posto di "ci si è impanata": rende l'idea ma sa troppo di cotoletta.
    E nella frase "meglio, molto meglio, se fossi morta anche io in quella pozza di sangue e occasioni perdute”, avrei aggiunto un "di": "in quella pozza di sangue e di occasioni perdute".
    Incipit e excipit si sposano bene.
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    Grazie Byron. Hai colto perfettamente questa mia inspiegabile riluttanza all'uso dei dialoghi. Sto cercando di correggerla. Anche l'ampliamento della parte emotiva del killer è argomento da prendere in considerazione. Nella fattispecie sono stato forse condizionato dal personaggio addestrato a scelte rapide e prive di incertezze, tanto più di ordine morale.
    Grazie
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    Sembrava li dividesse solo quello schermo. Non capiva come mai quell’immagine sembrasse tanto familiare, nonostante ci fosse solo qualche frammento di luce dal lampione sull’angolo della strada e quella figura apparisse quindi troppo scura e troppo sgranata per poterla mettere a fuoco. Lo sforzo nel trascinare quella enorme valigia lungo la strada appariva estenuante come riempire quelle ore notturne fondendosi al silenzio.

    È vero, si riesce a procurarsi proprio tutto su internet, anche un fucile di precisione. L'unico problema è che ci vuole un po' di tempo, perché te lo spediscono a pezzi e poi devi montarlo da solo. Per fortuna Indrek sapeva come fare; era stato addestrato a farlo. All'inizio non è facile e neppure piacevole uccidere qualcuno che nemmeno conosci. Con il tempo è ugualmente spiacevole ma diventa tutto più semplice. Nella formazione, oltre all'uso delle armi, ti insegnano anche a seppellire i sensi di colpa, con la storia che stai rendendo un servizio alla nazione, che qualcuno lo deve fare, che comunque è redditizio e ti consente di vivere bene senza durare troppa fatica. Anche l'impunità è assicurata, a meno che tu non la combini grossa: in tal caso hai le ore contate e non c'è posto al mondo in cui riusciresti a nasconderti.
    Indrek era nato a Narva, da una famiglia di contadini e allevatori. La famiglia era composta dal padre Peter, dalla madre Olga e dalla sorella Natalja, più piccola di lui di tre anni. Dopo il servizio militare si era trovato davanti alla scelta di ritornare al suo paese per fare il lavoro del padre o aderire all’offerta che gli avevano fatto di entrare nei “Servizi”. Il compenso era molto alto e aveva aderito con entusiasmo, senza conoscere esattamente la contropartita di quel denaro.
    Indrek cercò di prendere sicurezza sulla nuova ottica di quell’arma, provando a mirare un bersaglio. Fece uscire la punta della canna del fucile fra le ante della finestra socchiusa e l’appoggiò al davanzale per trovare un punto di stabilità. Era già buio e nessuno poteva vederlo. L’unica fioca luce proveniva da quel lampione all’angolo. Il cannocchiale ad infrarossi non aveva l’oculare per mirare: non serviva. Premette il pulsante del display e lo schermo si attivò, mostrando la strada sottostante ben illuminata, a dispetto dell’oscurità del luogo. Un cerchietto al centro del monitor mostrava il punto esatto in cui avrebbe colpito il proiettile. Sfiorando leggermente il grilletto dell’arma, si attivava uno zoom che ingrandiva l’immagine sul piccolo schermo per rendere più evidente il bersaglio subito prima di far partire il colpo. Indrek caricò l’arma: un solo colpo. Sapeva dove doveva mirare e non gli era mai servito un secondo colpo. Provò a mirare la base del palo del lampione. Ce l’aveva su quello schermo e il cerchietto era proprio nel centro di quel palo. L’attivazione dello zoom rese più grande quel palo, che andò ad occupare gran parte del display. Sorrise pensando agli anni di addestramento al bersaglio che aveva fatto. Con quell’attrezzatura anche un bambino sarebbe riuscito a colpirlo.
    Ora si trovava in un monolocale al seconde piano di una casa, al numero 15 di Köie. Non aveva informazioni particolari su chi fosse la vittima predestinata; sapeva solo che era una donna che in quel momento si trovava nella casa di fronte, al numero 16 e che stava per abbandonare quell’abitazione, portando con sé documenti fondamentali per la sicurezza nazionale. I Servizi sapevano che quei documenti erano protetti da un sofisticato sistema di autodistruzione e non avevano azzardato prove di forza per sottrarli alla donna, mettendo a rischio la loro integrità. L’unico metodo sicuro era l’eliminazione di quella donna con una “procedura” istantanea che non le avesse dato il tempo di reagire. A cose fatte, qualcuno si sarebbe avvicinato al corpo della donna e le avrebbe sottratto quella preziosa borsa, prima dell’intervento della polizia ufficiale.
    Una luce che si spegneva al secondo piano della casa di fronte gli fece capire che era arrivato il momento. Il battito cardiaco di Indrek non ebbe la minima accelerazione: la freddezza era sempre stata la sua arma vincente. Il portone si aprì lentamente, una testa di donna si affacciò dalla porta socchiusa. Si girò a destra e a sinistra, per vedere che non ci fossero movimenti sospetti. In quel momento Indrek notò un’auto scura che si avvicinava lentamente all’angolo della strada, all’incrocio fra Köie e Noole. All’altezza del lampione si fermò, senza spegnere il motore. Dalla porta a quell’auto c’erano circa venticinque, trenta metri. Quell’auto aspettava lei e Indrek si rese conto che lo spazio che aveva a disposizione era piuttosto ampio e avrebbe avuto il tempo di scegliere con cura il momento migliore.
    Quando la donna uscì sulla strada, Indrek si rese conto che il compito sarebbe stato ancora più facile. Evidentemente l’abbandono di quella casa doveva essere definitivo. Quella donna portava con la mano destra una valigia di grosse dimensioni, apparentemente piuttosto pesante, che avrebbe rallentato notevolmente il suo passo. Nella sinistra una borsa abbastanza piccola che certamente conteneva ciò che sarebbe stata la causa della sua morte.
    La donna notò l’auto che con fari e motore accesi l’attendeva all’angolo e si incamminò con una certa fatica in quella direzione. Indrek imbracciò il fucile e accese lo schermo: gli apparve l’immagine un po’ sgranata, ma ben visibile nei contorni, della donna. La seguì mentre faceva quei primi passi verso l’angolo della strada. Decise mentalmente che il punto migliore sarebbe stato quando sarebbe riapparsa da dietro l’unica auto parcheggiata in quel tratto di strada. A quel punto avrebbe avuto ancora una decina di metri completamente liberi per sparare il colpo. Non un’anima in giro e nemmeno auto in arrivo: un silenzio assoluto, come raramente si ha in città, anche a notte fonda.
    Appena la vide uscire fuori dalla sagoma dell’auto, toccò leggermente il grilletto, attivando lo zoom. Cercò la testa della donna, ne colse il profilo: una posizione favorevole per un colpo preciso alla tempia sinistra. Stava per affondare la pressione sul grilletto quando la donna si voltò, indirizzando lo sguardo verso la parte opposta della strada. Mirerò alla fronte, pensò in un attimo Indrek. La donna intanto si era avvicinata ancora di più a quel lampione e fu in quel momento che Indrek percepì, anche se un po’ confusamente, i lineamenti di una fisionomia nota, anche se lontana nel tempo.
    La mente corse in una rapida concatenazione di riflessioni che durarono lo spazio di un semplice passo e le labbra di Indrek si mossero impercettibilmente sussurrando un nome che nessun altro avrebbe potuto udire tanto fu flebile, ma a lui parve un grido di stupore e di disperazione: Natalja! Continuò a seguire sullo schermo quel profilo che procedeva verso quell’angolo di strada, verso la vita, fino a che non lo vide sparire dentro quell’auto nera che si allontanò velocemente.
    Il Commissario Kuusik non riusciva proprio a trovare il bandolo di quella matassa. Un uomo morto, presumibilmente suicida, in una camera di una locanda di infimo ordine di Tallinn.
    Accanto al corpo, a terra, un fucile di alta precisione, con un cannocchiale dotato di un modernissimo display che in quel momento era ancora acceso e inquadrava una porzione del pavimento e dello zoccolino in legno sotto la finestra aperta, affacciata sulla strada.
    Se uno vuole suicidarsi – pensava - non va certamente a procurarsi un’arma così sofisticata e così poco adatta per puntarla contro sé stesso. Tant’è che quell’uomo aveva dovuto sciogliere il lacciò di una scarpa, l’aveva legato da un lato alla scarpa stessa e dall’altro al grilletto del fucile, così che gli era bastato un piccolo movimento del piede per far partire il colpo direttamente alla testa.
    Kuusik non ebbe modo di procedere oltre con il suo ragionamento perché fu distratto dalla porta che si apriva con una certa violenza. Riconobbe l’uomo: era dei “Servizi”. Sapeva benissimo che la sua presenza significava una cosa sola: quel caso da quel momento non riguardava più lui e di quella storia non avrebbe più sentito parlare.
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    Complimenti, Constance! 👏👏👏
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    Complimenti, Petunia! Bel colpo!
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    CITAZIONE (B&S @ 4/8/2020, 14:29) 
    Faccio solo un breve intervento, giusto per dovere di chiarezza.
    Tas è un concorso per trilogia, renderlo anonimo sarebbe stato piuttosto ridicolo visto che dopo il primo step gli autori si sarebbero palesati.
    Gli altri concorsi resteranno tendenzialmente anonimi proprio perché nel sondaggio non c'è stata una vittoria schiacciante della fazione no anonimato.

    Sul caso specifico questa nota chiude la discussione e il non averci pensato prima della precisazione fa scendere di molto la mia autostima. Continua la disputa sulle partite "one shot"... mf_swordfight
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    🙏 scusa, hai ragione. Sono stato risucchiato nel vortice della discussione...
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    P.S. Per quanto riguarda la questione dell’anonimato o meno, io sono per l’anonimato in concorsi giudicati da giurie esterne. Nel nostro caso in cui i giurati sono anche i partecipanti che, fra l’altro, si conoscono ormai quasi tutti abbastanza bene, L’anonimato mi sembrerebbe una ridicola ipocrisia.
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    @Bar Abbas: dissento sul Palio di Siena come modello di competizione. Se è vero il fatto dell’assegnazione per sorteggio dei cavalli è altrettanto vero che si tratta una gara determinata dagli accordi fra contrade e condizionata dal potere economico delle contrade più ricche che corrompono a suon di euro i fantini delle altre contrade. La gara è ugualmente bella ma tutti, e per primi i senesi, sanno che è truccata.
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    Classifica:
    1) La fabbrica dei sogni – Asbottino
    2) Autogrill – Tommasino
    3) Il contratto – Bar Abbas
    4) Rivelazioni – Petunia
    5) All’ombra dell’albero – Dal Capa

    Ho cercato di far prevalere il giudizio su questo step, più che sull'intero lavoro. Non so se è corretto ma così è...
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    Concordo in pieno con quanto detto da Petunia sull’ecletticità che in qualche modo vi accomuna e a te, come a lei, dico che proprio nella poesia riuscite a raggiungere le vette più alte, naturalmente sempre secondo il mio modesto parere 😊
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    Bravissima! Insieme ai miei complimenti anche un ringraziamento particolare per i tuoi commenti ai nostri scritti che sono sempre molto accurati da tutti i punti di vista e estremamente utili per tutti noi.
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    Hai ragione Molli... senza "e"
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    Bravissima!😘
484 replies since 29/9/2018
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